Ted, l’orsacchiotto parlante, oramai integrato e desideroso di sposarsi, scopre che non è una persona, ma un oggetto, alla mercé di chiunque. Ma il suo amico John non lo lascia solo, ingaggia avvocati e battaglie legali. Il successo del primo Ted, del 2012, giunse inaspettato: una commedia in cui il protagonista era un orsacchiotto parlante: ma scurrile e volgarotto. Era una comicità vietata ai minori. Purtuttavia incassò cifre di tutto rispetto (500mln di dollari). Il merito è sicuramente del suo regista-attore (è la voce originale di Ted)-sceneggiatore-produttore Seth MacFarlane: lo stesso ha ideato la striscia dei Griffin, che è la versione piccolo borghese, ma altrettanto dirompente e corrosiva, dei Simpson.
Tutte e due le strisce hanno di fronte a sé gli Stati Uniti, che analizzano e ne colgono le contraddizioni, le mostruosità, il grottesco. Insieme a Todd Philips (“Una notte da leoni”, ecc), Paul Feig e Judd Apatow (“Le amiche della sposa” ecc.), McFarlane è considerato il rappresentante della nuova comicità hollywoodiana, quella che sta cercando di innovare i moduli della commedia tradizionale. Questa nuova comicità è fatta di confronti con la società, oltre che naturalmente di storie ben strutturate e di caratteri di credibile elaborazione; soprattutto quelli femminili, come nel caso di P.Feig. Sono personaggi, non di rado ritagliati al di fuori dell’ossessivo politically correct, che si agitano nelle odierne metropoli, spesso in condizioni di precarietà; oppure ai margini dell’opulenza: come d’altronde vive la stragrande maggioranza degli statunitensi.
Questi autori di cinema, sono presenti a vario titolo, anche solo come Produttori Esecutivi in film non loro, ma a cui danno dei contributi e impulsi a vario titolo: anche creativi: tal che possiamo parlare di gruppi di attori, che loro hanno lanciato, sceneggiatori, registi che hanno sensibilità affini alle proprie. Non è il caso di parlare di “scuole”, perché è una concezione del tutto assente nella cultura del cinema USA, che è soprattutto business oriented. Ma ciò non toglie che vi circolino omogeneamente idee nuove, stili e personalità differenti. E spesso di gran talento, come nel presente film (USA, 15). E’ chiaro che Ted è un personaggio da favola: che ha pure ispirato alcune pubblicità, ed esprime una metafora sulla duplicità degli oggetti che ci circondano e che sono permeati e addirittura trasformati dalla nostra esistenza, di cui diventano un’espansione, come dotati di una vita propria. E questa fu l’idea geniale di “Toy Story”. Ma l’orsacchiotto è un bambinone cresciuto: quindi resta un bambino che vede tutto secondo una logica immediata di vero/falso, non ha spazi per mediazioni diplomatiche; riflette e, in qualche modo, amplifica il carattere di John suo antico padroncino, e ora il suo più fedele amico, e ne è l’interfaccia . Ma anche lui sembra un bambinone: insieme vanno d’accordissimo. Questa scansione, sviluppata dal primo film, è l’ossatura drammaturgica, su cui s’innesta la storia. Tuttavia Ted, benché tutto digitalizzato in CGI, è anche un personaggio ben individuato: come John appartiene alla working class: non è un intellettuale; dice parolacce, racconta barzellatacce, beve birra; ma ha forti sentimenti d’amicizia e di rispetto per gli altri. E anche sane voglie: la sua ragazza è una vistosa Tamy-Lynn, che lavora anch’essa al supermercato insieme a Ted. Ma tra loro c’è forte sentimento e aspirazione a costruire una famiglia. E qui s’innesta un secondo livello riflessivo, più profondo ed etico: cos’è che distingue una persona da un oggetto? Nel film è più di una volta ricordato che nell’800 fu posta la medesima questione per un cittadino nero: e fu risposto che non era una persona bensì una “proprietà”.
Il film è veloce e mette insieme situazioni e battute da strisce disegnate, con ingressi di attori anche famosi, che fanno camei spesso godibilissimi, come Liam Neeson, ad esempio. Ma la struttura generale rispetta i tempi e i modi di una narrazione unitaria, con attori che stanno benissimo al gioco con svelta ironia come Mark Wahlberg, Amanda Seyfried, e la pupa di Ted, assai pimpante e brava, Jessica Barth. Ma anche con loro ha funzionato il montaggio di Jeff Freeman che dà senso generale al tutto. Il film ha un inizio travolgente, un vero gioiello visual-musicale: la main title sequence (la sequenza dei titoli di testa) è una bellissima e animata coreografia di ballo coordinato, di tipo “classico” alla Busby Berkeley, cui partecipa uno scatenato ma assai inquadrato Ted: il suo autore è il regista-coreografo Rob Ashford.