Qualche settimana fa un ragazzo napoletano di 30 anni si trovava a Barcellona e voleva andare allo stadio. Al Camp Nou. Voleva vedere in azione Leo Messi, vederlo correre e dribblare, segnare ed esultare sotto la curva. Si voleva confondere tra la folla, magari comprare qualcosa da bere e poi, dopo la partita, riunirsi al pub con gli amici e gli altri tifosi per scambiare quattro chiacchiere. Trascorrere una serata normale, come le serate che io e altri miei coetanei trascorriamo senza preoccuparci di nulla. Senza scorta. Senza la paura di essere ammazzati perchè abbiamo scritto un romanzo scomodo. Un romanzo che ha fatto conoscere all’Italia "che dorme" quello che accade sotto i nostri occhi. La violenza quotidiana perpetrata ai danni di una terra sempre più sottomessa nell’indifferenza generale. L’indifferenza di chi dice che così deve andare il mondo, che è inutile illudersi che qualcosa possa cambiare; che "lo sporco" ce lo dobbiamo tenere caro, perchè ci fa vivere. L’indifferenza di chi vive nell’ignoranza e nell’arroganza; e di chi, pur conoscendo, pensa a se stesso, al proprio "particulare", affogando sempre più nelle sabbie mobili del qualunquismo più bieco e squallido.
Diversi mesi or sono, fui chiamato a scrivere un articolo sul film "Gomorra" e da lì presi lo spunto per fare un discorso più generale, di critica, sia al film che al libro. Questo mio intervento, però, non vuole essere una palinodia, una ritrattazione, nei confronti di ciò che scrissi. Intende solo sottolineare, senza retorica, senza giri di parole e perifrasi ipocrite, la "non-vita" di un ragazzo di trent’anni che allo stadio deve essere accompagnato. Che si deve muovere sempre e solo con la scorta, ovunque si trovi. Che sembra quasi un appestato, un untore bandito per sempre dalla nostra regione, dal nostro paese. La solitudine di chi ha avuto il coraggio di dire e di denunciare mettendoci la faccia. Evitando di nascondersi, di restare nell’anonimato, nel grigiore generalizzato di un’esistenza banale. Un sacrifcio che ha pagato caro, un sacrificio all’ombra del quale tutti quanti ci siamo messi a riposare, dolcemente accarezzati dal vento della noia e della passivtà.