In fondo bisogna capirli i burocrati dell’amministrazione italiana. E’ tutta colpa dell’ipertrofia legislativa. L’Italia è tra i primi paesi al mondo per numero di disposizioni legislative emanate annualmente e capita spesso che qualcuna sfugga, salvo poi ricordarsene quando la frittata è fatta. Un’indagine del Sole 24 Ore ha svelato che, a chi si presentasse per richiedere il registro dei redditi del comune di residenza, i solerti dipendenti rispondevano che non era possibile visionarlo, per una questione di privacy. Peccato che, proprio per perseguire i criteri di trasparenza tanto sbandierati in questi giorni di polemiche, il d.p.r. 600 del 1973 prevede espressamente la possibilità, da parte di chiunque, di consultare il registro dei redditi prodotti dai residenti nel comune stesso. Ma non si è parlato solo di trasparenza per giustificare la necessità di pubblicare on-line i redditi, ma anche di necessità di adeguamento ad altre realtà, tipo quella degli Stati Uniti. E qui le perplessità aumentano. Perché negli USA è da sette anni che questo sistema è stato abolito e perché, come ha riferito il garante della privacy, la Svezia è l’unico paese al mondo in cui avviene una cosa simile. Ma non può essere solo questo a giustificare la quasi totale assenza di evasione fiscale nel paese scandinavo. C’è dell’altro: sicuramente una cultura della legalità più diffusa e manifesta e ciò ovviamente non solo in ambito fiscale. Pensare di combattere l’evasione semplicemente pubblicando on-line i redditi degli italiani è quanto meno utopistico. E’ vero che e-mule, il sito dove ieri si condivideva di tutto , dai video alla musica, e dove oggi sono diffuse le “ricchezze” di tutti, ha avuto un boom di contatti. Ma probabilmente, in questa epoca da Grande Fratello, ciò è avvenuto per l’intima e inconfessabile curiosità di sapere quanto ha guadagnato il nostro vicino di casa o il nostro attore preferito, certo non con lo spirito di voler denunciare qualcuno. Tra le altre cose che lasciano stupiti, vi è anche il continuo ridondare del termine “democrazia”, a uso e consumo di tutti, e che ovviamente è stato anche utilizzato per giustificare ciò che è avvenuto. Ebbene, una vera democrazia non può tollerare la violazione di quei valori sui quali essa si basa. E tra questi c’è sicuramente il diritto alla privacy, inteso come protezione di quelli che i giuristi chiamano dati sensibili, ossia quei dati strettamente legati alla personalità dell’individuo.