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Discorsi alla Città, i 10 anni di Sepe a Napoli

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Discorsi alla Città, a Napoli e su Napoli, nella sala del Coro di Donnaregina Vecchia.  Convegno tenutosi il 14 settembre, organizzato dall’Unione Cattolica Stampa Italiana della Campania, in occasione del decimo anniversario dell’inizio del ministero pastorale del cardinale Crescenzio Sepe.

 Alla presenza del cardinale stesso, ne hanno discusso il filosofo Aldo Masullo, il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, il giornalista Marco de Marco, editorialista del Corriere della Sera, e don Tonino Palmese, assistente spirituale dell’UCSI.

Si è trattato di una lettura e di una meditazione di quanto scritto dal  cardinale nei dieci anni del suo magistero, nella solennità dell’Immacolata,  rivolto alla comunità.

Discorsi alla città,  come le chiacchierate tra Gesù e la Samaritana, che «lasciò la brocca, andò in città e disse a tutti.[...] perché  quando ci si confronta con il vero è necessario lasciare la brocca delle nostre convinzioni e tenere la coscienza aperta al dialogo e all’incontro, per andare avanti, per vivere con gli altri e per gli altri la città»,  così nell’introduzione di  Palmese.

Discorsi  improntati sulla speranza, come  motivo di fondo di ogni messaggio rivolto alla città di Napoli;  un accorato appello affinché  nessuno possa “rubare la speranza”. «La speranza è un concetto che ci salva” ha sottolineato il filosofo  Masullo “Per sperare occorre essere responsabili mettendo il proprio intervento, quali soggetti attivi. Ma per essere tali  occorre essere seri. Il cardinale Sepe, nei suoi discorsi alla città,  ci  invita a riflettere per non perdere la “derrata  più preziosa della nostra umanità”, rappresentata dai  giovani. Non importa se Napoli sia immobile o meno, ma bisogna comprendere se ha la possibilità di soffermarsi a capire cosa fare. Quali mete indicare ai giovani».

Discorsi  alla Città,  diventati motivo di incontro tra il cardinale Sepe e Napoli,  costretti però a confrontarsi con problemi esistenti: crisi economica,   lavoro e  povertà,  corruzione e criminalità da affrontare con la responsabilità da tutti, nel costruire una grande alleanza educativa, etica e di impegno per offrire occasioni di salvezza.

«Il problema è uscire dal pendolo paralizzante sui mali di Napoli – ha dichiarato Franco Roberti –  tra chi dice che Napoli e questa e non c’è da niente da fare e, dall’altra parte, chi dice che è una città con grandezza storica, culturale, naturale e prima o poi il bene prevarrà. Bisogna uscire da questo pendolo, perché Napoli, i cittadini chiedono alle classi dirigenti di uscire e mettere in campo politiche, azioni e condotte necessarie per il riscatto. I mali di Napoli sono atavici.  Nel 2007 durante un incontro con la commissione parlamentare antimafia, in visita a Napoli, conclusi la mia relazione con una domanda: ‘Lo stato potrà mai vincere la camorra? Sì, se lo vuole».  Partecipe alla difficile realtà partenopea, il procuratore nazionale antimafia, ha confessato di non sapere indicare la strada sul “cosa si debba fare“, ma di poter cogliere indicazioni precise dal cardinale Crescenzio Sepe, nelle sue lettere alla città:  «Il cardinale invita a passare all’azione. La camorra sfrutta le diseguaglianze sociali, fa affari con ricchi senza scrupoli e pesca manovalanza nella disperazione, nelle baby gang. Occorre fare squadra e sistema, ma questo presuppone una presa di coscienza perché siamo tutti responsabili di questa situazione e ciascuno può e deve fare la sua parte».

A conclusione del convegno, il Cardinale Sepe si è così espresso: «questa è una data  importante, a conferma del dialogo in essere tra  la città  e la  Chiesa, come un esame di coscienza,  che riemerge dal proprio io, fatto di pensieri e preoccupazioni, e di speranza. Perché la speranza? Perché in essa occorre proiettare un futuro che non esiste, ma che può esistere in proporzione all’impegno nel presente. Il futuro è nel presente”. Responsabilità di tutti,  Chiesa inclusa,  nella rieducazione alla civiltà, e nella lotta alla camorra: “La camorra è un pericolo e la violenza un dramma, ma se di fronte a questi mali noi chiudiamo gli occhi , la città diventa una pagina morta, un punto a cui non segue nessun a capo. Abbiamo le nostre colpe, perché abbiamo educato i fedeli ad essere dei buoni ecclesiastici, ma non insegnato loro che, da cristiani, si ha l’obbligo di vivere civilmente bene. È opportuna una rieducazione alla civiltà che implica l’assunzione di responsabilità di tutti a ogni livello, dai capi di Stato e di Governo. Chiunque non si assuma questa responsabilità viene meno a un  dovere di umanità».

Uniti  per il riscatto di Napoli.  Con l’impegno di tutti: «Dovremmo avere tutti l’idea di fare il bene comune. Nel nome di Dio che ci unisce, e non ci divide».