Strade deserte che si riempiono di presenze evanescenti solo sul far della sera. Quando il sole ha già fatto posto all’oscurità. Quando dalle auto che sfrecciano sull’asfalto, ancora bollente, arrivano come lamenti vecchie canzoni di Giulietta Sacco e Mauro Caputo. Strade sbandate in cui regna una cieca violenza che si insinua in ogni cosa, come un sax tenore folle o una danza tribale da villaggio africano con tanto di santoni e riti propiziatori con cui invocare la pioggia purificatrice. Strade perdute in cui si muore tra l’indifferenza generale. Senza una cane che ti possa piangere o un albero che ti ripari. Come quel maledetto incrocio tra Via Quattro Orologi e Via Gabriele D’Annunzio ad Ercolano. Lì, un mattino, fu abbandonato Francesco, agonizzante e con le caviglie spezzate. Era andato a lavorare in un cantiere per demolire vecchie strutture di ferro. Ma l’impalcatura non ha retto e il volo gli è stato fatale. Non ha ricevuto soccorsi; l’hanno lasciato per strada come un sacchetto della spazzatura e, quando gli è stato offerto soccorso, oramai era tutto finito. La vita se n’era già andata chissà dove, lasciando il suo corpo martoriato su un campo di battaglia vecchio come il mondo. Esposto agli uccelli predatori, che a poco a poco ne faranno scempio trasformandolo in un trofeo di guerra di cui vantarsi, da esporre durante una triste campagna elettorale per far salire assessori e consiglieri comunali. Scomparirà così pure il corpo e forse resterà il ricordo. Tutto il resto è soltanto noia.