In una società volontariamente portata a liberarsi dai legami, diventa urgente il recupero del concetto di figlio come compito prioritario. Occorrerà nell’immediato futuro, esaminare con attenzione la relazione originaria, andando al centro del problema e sviscerando i motivi che hanno portato allo strabismo ontologico della relazione, ovvero alla negazione della vera essenza dell’uomo, poiché i figli non sanno perché sono figli, ricorda il filosofo francese Henry con Plotino. Tuttavia, a questo strabismo corrisponde una smemoratezza educativa, dal momento che oggi si lamenta e si costata lo smarrimento dell’elemento vitale della relazione, perché è stato negato il legame intimo con la Vita, cioè con Dio stesso, mentre «l’educazione è quel rapporto che aiuta ciascuno a costruire la propria identità come vocazione e a scegliere la vocazione come volto della propria identità».
Se invece di puntare sulla autenticità relazionale si optasse per radicalizzare l’oblio della responsabilità educativa in modo irreversibile, significherebbe dar vita ad una vera barbarie umana, giacché si eliminerebbe qualsiasi relazione originaria, a partire dalla stessa Vita e dai valori essenziali. Alla smemoratezza, quindi, si avvicendano l’incivilimento delle relazioni, del vuoto esistenziale, della solitudine, della ingratitudine, della futilità dell’esistenza.
I principi umani sono ancorati alla prospettiva di Vita, di Luce, di Verità, in una parola sono ancorati a Cristo. Il cristianesimo, infatti, annuncia la salvezza, quella via cioè che conduce la persona umana all’incontro con la Vita in sé, alla «vita assoluta di Dio». Ecco recuperata la condizione filiale, quella condizione essenzialmente umana, tanto spesso dimenticata, quasi “sospesa” tra la sfiducia e il nichilismo, il più “inquietante fra gli ospiti”, secondo Nietzsche, diventato linguaggio ed espressione dell’analfabetismo emotivo e relazionale, dell’incertezza e della tristezza, prima di tutto degli adulti e poi dei giovani. Il recupero della relazione umana nella condizione filiale significa per Henry ritornare alla Vita in senso pieno e ciò comporta la rivalorizzazione tout court dell’umano contro ogni incivilimento o barbarie tecnocratica, tendente a ridurre gli esseri umani a semplici frequentatori e schiavi della realtà virtuale.
La condizione più dis-umanizzante, nata dall’avvento della tecnocrazia, è l’illusione che l’uomo coltiva di poter creare da solo e gestire autonomamente la vita. Così facendo, l’umanità sarebbe proiettata ad annullare ogni relazione filiale come autentica condizione umana. Il solo pericolo paventato è già l’inizio della devastazione, perché sarebbe la negazione definitiva da parte delle persone della loro situazione di figli e il conseguente annientamento di qualsiasi relazione umana, vera condizione di barbarie culturale, sociale, religiosa.
Infatti, l’indebolimento della condizione filiale ha comportato lo smarrimento effettivo dell’umano, innescando sic et simpliciter un vero detrimento sociale, dal momento che l’uomo cede alla tentazione della razionalità scientifica, sostituendo il cuore del “sapere umano”, cioè la Vita, con procedimenti tecnici e con la fredda applicazione del metodo quantistico-matematico tipico del pensiero di ispirazione positivistica.
Una deriva del genere, alla luce del pensiero del filosofo francese , ha invaso effettivamente il campo affettivo con la messa in crisi dei rapporti interpersonali, quindi con la negazione del legame filiale. In questi ultimi decenni, il “bisogno di umano” è stato reclamato con maggiore insistenza, proprio quando i valori fondamentali sono stati messi in discussione in modo radicale e la scuola, la famiglia, la religione e la stessa “comunità” hanno perso l’autorevolezza effettiva, affettiva e relazionale.
Ecco profilarsi la sfida lanciata all’umanità nell’edificazione di una società chiamata a ripensare sul serio la vita e ad evitare le lusinghe ipnotiche di una falsa filosofia fondata su meccanismi stereotipati di certezze scientifiche o pseudo tali.