Parterre ricco di ospiti per la puntata del 26 giugno del programma televisivo teologico È scesa la sera?, prodotto dalla sezione San Tommaso d’Aquino della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, in onda sull’emittente nazionale Padre Pio TV (canale 145), alle ore 19.15. Una puntata speciale, in cui al centro delle riflessioni vi è stato il dialogo religioso, marchio di fabbrica per la facoltà teologica di Capodimonte, da sempre attenta all’approfondimento ecumenico. In collegamento, insieme agli autori, i teologi Michele Giustiniano e Carmine Matarazzo, la scrittrice, attrice e regista ebrea Miriam Camerini, la biblista e pastora evangelica Lidia Maggi, l’Imam di Milano e presidente della Comunità Religiosa Islamica Italiana Yahya Pallavicini, la massima autorità della Chiesa Taoista d’Italia, il reverendo prefetto Li Xuan Zong, il filosofo, docente e sacerdote cattolico don Antonio Ascione, il teologo, docente e direttore del Centro Studi Francescani per il dialogo interreligioso, padre Edoardo Scognamiglio, la presidente dell’amicizia ebraico-cristiana di Napoli, Lucia Antinucci. La via delle religioni, via del dialogo e della pace, in cui le differenze diventano, non solo per una serata, fonte di arricchimento e dimostrazione che le distanze non vanno vissute come spazio di conflitto, ma spazi da riempire di toni reciproci.
Il ruolo delle varie religioni nel tempo della tempesta – Ciascuna religione ha elaborato risposte per interpretare una realtà improvvisa ed inaspettata che ha sconvolto le vite di tutti, e che hanno portato ad un miglioramento al fine di combattere il virus. All’inizio della pandemia dopo le prime restrizioni del governo, valide anche per le comunità religiose, il divieto di frequentare chiese, moschee, sinagoghe e luoghi di culto, è stato vissuto come una mancanza di laicità dello Stato nei confronti delle religioni e di ingerenza forzata dello Stato negli affari delle confessioni religiose. Ne è scaturita una sorta di delusione e frustrazione. Lo stesso Pontefice ha invitato tutti alla comprensione del momento inatteso e tanto grave e al rispetto delle regole. Tutte le celebrazioni e i riti religiosi sono stati vissuti in maniera virtuale, ma per nessuno è stata la stessa cosa: «L’anima di una comunità è la comunità stessa. Quando si sono riprese le celebrazioni ho provato una grande emozione, malgrado il supporto virtuale, la possibilità di vedersi, di condividere anche una paura è tutta un’altra cosa. Tutte le comunità hanno provato il bisogno di condividere una fede. Se vogliamo incontrare dio, dobbiamo incontrarci tra di noi», ha detto padre Edoardo Scognamiglio. Tutti i rappresentanti delle religioni del mondo dedicate alla promozione della pace e del dialogo interreligioso, in questo periodo, hanno riconosciuto il pontefice come un punto di riferimento. Ne è scaturito un unico bisogno di religioni che rafforzino la “voglia di comunità” e di solidarietà. Pallavicini: «Nelle moschee vi è un marcato richiamo alla preghiera, oggi dopo il coronavirus, più che in passato. Pregare è casa. Durante il periodo in cui la Mecca è stata chiusa, ed è prevalso l’isolamento, si è ricercata la salute nella preghiera, sacrificando la preghiera comunitaria», l’Imam Yahya Pallavicini. La pandemia ha rappresentato la via al rafforzamento dei rapporti umani, anche tra le diverse religioni, in maniera virtuale: « impossibilitati di effettuare la pratica collettiva, ci siamo preoccupati di non far mancare la presenza comunitaria tramite il web», ha detto il reverendo prefetto Li Xuan Zong. Ed ecco che, nel tempo vissuto al di fuori dal tempo, «le Chiese della riforma hanno reagito vivendo la crisi, riflettendo, nel momento in cui non si è data la possibilità di incontrarsi, cosa significa essere comunità», nella riflessione della pastora evangelica Lidia Maggi.
Le sacre scritture rievocate – Chi ha pensato all’attuale epidemia, con le storie narrate nelle scritture sacre? Eppure sembra che i racconti biblici, rievocano proprio le grandi epidemie che hanno attraversato quell’epoca. Dalle antiche scritture apprendiamo le tragedie passate e le ribaltiamo in tempi moderni sino a giungere alla attualità che viviamo. Non dimentichiamo, dunque, che la storia è maestra di vita e la ciclicità è nel nostro destino. Il messaggio biblico, sta a significare che tutto si può ripetere: quanto successo allora, è successo anche oggi. La cultura, la storia, rappresentano elementi dai quali bisogna trarre la dovuta esperienza. Don Antonio Ascione: «È stata messa a nudo la fragilità dell’uomo, e nasce spontanea la domanda di perché Dio ha permesso tutto questo, Dio che ha tanto amato il mondo da mandare il suo unico figlio unigenito, presentato come l’inviato del Padre pieno di potenza straordinaria, in grado di curare gli ammalati. Nel cristianesimo troviamo, non una risposta al male e al dolore, ma un Dio che fascia le piaghe del popolo». Nella lettura delle Scrittura, se anche le si vogliano proiettare al presente, è, dunque, detto tutto ciò che è necessario per la salvezza, e vi sono espresse chiaramente le indicazioni per porsi in modo giusto di fronte agli altri. l’Imam Yahya Pallavicini: «Il Corano è stato oggetto di una reinterpretazione di trattati teologici, in cui ci sono opere chiamate “la medicina del profeta“, dove si cerca di commentare i segni di Dio anche in momenti di prova: in ogni malattia e in ogni prova c’è un rimedio e l’uomo deve sforzarsi di affrontare, cercando la cura, senza lasciarsi abbandonare dal dolore».
Una pandemia cambia l’umanità? – In questi mesi, abbiamo assistito alla comparsa di slogan e frasi fatte più o meno costruite sulla semplificazione: da “andrà tutto bene” a “non sarà come prima”. Queste espressioni possono non soddisfare gli appetiti di tutti ma una domanda di fondo viene posta in maniera diretta: la comparsa di un virus modifica una civiltà? Con tutto quello che un cambiamento può comportare in termini esistenziali, psicologici. il professore Carmine Matarazzo ritiene che «Vi è una speranza riposta: non lasciamo che questo tempo vada sprecato, come ci ha esortato papa Francesco; c’è bisogno di fare storia, perché siamo facili a dimenticare, perché gli insegnamenti poco servono se non li teniamo come memoria per vivacizzare il presente e il futuro».Tutti ci chiediamo cosa cambierà nel nostro e altrui stile di vita al termine della pandemia. Sicuramente stiamo imparando che il nuovo slogan dovrà essere quello del “prendersi cura”, prima ancora che cominciare a curare. Prendersi cura di tutto e di tutti. Sarà un’opera virtuosa per non farci ammalare d’individualismo e di autosufficienza, quanto piuttosto contagiare di attenzioni, di solidarietà e altruismo. «Certamente possiamo dire che siamo tutti insieme su questo mondo e questo ci fa capire che dobbiamo avere cura gli uni degli altri, indipendentemente dal proprio credo. Avendo cura di te in qualche modo ho anche cura di me stesso», don Antonio Ascione.