La pubblicazione di Sciamano. Poesie 1985-2020[1]di Donatella Bisutti, presso Delta 3, nella collana “Aeclanum” (come l’omonima città romana), diretta da Eleonora Rimolo, che raccoglie inediti e vecchie pubblicazioni di una delle più rappresentative poetesse e traduttrici italiane, ha il merito non solo di rappresentare una importante e pregiata novità editoriale, meridionale ma aperta al mondo, ma anche riunire la produzione poetica dell’autrice milanese che merita di avere un ordine e un nuovo pronunciamento.
Seguendo il suo percorso, dunque, si penetra in un orizzonte di grido e silenzio («La Scrittura nasce dall’Ascolto e dal Silenzio, che tenta di decifrare instancabilmente ponendosi essa stessa come Domanda. La Scrittura strappa brandelli al Silenzio. Così come la Musica. Si potrebbe anzi dire che entrambe sono tentativi di materializzare
il Silenzio trasformandolo in Suono, come la Luce ci fa vedere l’Ombra trasformandola in Forme»), in cui la linea metafisica è vertigine mistica, appropriazione docile dell’essere, coltre di sogno e bellezza, come testimoniano gli inediti degli ultimi cinque anni.
La sezione Cosmica si apre con Alba sull’oceano, in cui l’inizio del mondo è una fessura di bellezza e giovane sole, dove lo spazio dell’eternità compie il suo agone di tenebra, il suo habitus di nascita e attesa, come quiete raccolta e attesa di un evento:
«Quando le nuvole innalzano / templi sull’oceano / e il cuore batte annegato / un giovane sole / cammina sull’acqua / Il mare si fende alla luce / come il ventre bianco di un pesce / arpionato / Troppa luce per i nostri occhi abbacinati / sottratti al lenimento della tenebra / pesci dello Spirito / schiacciati nell’immensità / che si fa chiara / in essa tutto si scioglie / spazio vuoto e abitabile / per un gioco di luci / in cui la metamorfosi / accende fuochi / sul retro delle nostre pupille / e noi presi da timore profondo / strisciamo / su neri arenili / su pietre brucianti / spazzate dalle ondate / sommersi e ustionati / da un sole immenso / orlato di nubi / che salgono come fumi e preghiere / eppure anche il sole / è un sole piccolo e smarrito / e la sua ferocia è solo il segno / di una ferocia più grande».
La poesia di Donatella Bisutti percepisce questo vortice di occhi e immagini, intessuta di lucida fragilità e vita che promana chiarità, nello stupendo orrore di un’intima connessione tra io e cosmo: «Il liquido chiaro intorno alla pupilla / è la chiarità dell’oceano all’alba / ai cui bordi nasce la luce / e solleva le sue colonne / fino alle sommità del cielo. / Nel cielo del nostro occhio / nuotiamo verso le rive di Dio».
L’oscurità non consegna linfe, ciò nonostante, la segreta verità del mondo e il linguaggio mistico della poesia, che racchiude e consegna, invitano al viaggio dentro sé tessi. La poesia diventa il cammino dello sguardo, la tensione della linea, il cammino invisibile dell’anima, dove i passi celebrano il rigore dei transiti, la sapienza del vivente, il mistero del dolore e dell’amore: «Il passo percuote il terreno / Il silenzio / si dilata nel passo. / Dal suolo / il nulla / si ripercuote fino al cielo. / Il passo come / la risacca / sulla battigia / come i grilli / nell’infinito dei campi. / Passo atono / che dilata il silenzio / e si coniuga al nulla / ossessivamente / ripetutamente / lo spezza / e poi si smorza / si allontana / svanisce. / L’infinito finisce».
La percezione ulissiaca, la luce che riscatta e salva, l’approdo e la genesi appesi «all’amo invisibile», la lode creaturale, il sorgere prodigioso dei segni, il dettato e la vocazione arcana di una finitudine franta ma inondata di tremore e di gioia.
L’Autrice scrive:
«Non dobbiamo rinunciare a tendere a quella “connessione ultima”, la cui essenza è quella di darsi negandosi, perché di questa tensione la recente pandemia ha registrato, con improvviso e inatteso sgomento, la drammatica caduta e assenza nell’attuale stato del mondo, il quale si scopre privo di un centro a cui l’individuo e la società possano fare riferimento e per questo in balia di un non-senso e di un’angoscia che stanno rendendo la nostra vita invivibile».[2]
In Spiragli, la sospirata gemmazione delle cose ritorna in una parola scarna ed essenziale, nei penetrali di colore corporeo, nelle indorate luci sulle ombre, fino agli interni che raccontano lo spazio segreto del mondo, il ritmo mattutino, il luogo dove matura l’esistente, dapprima come obbedienza e ascolto, poi come respiro e desiderio.
Il tempo delle palpebre lambisce l’intatto mondo (spesso irrisolto) dell’infanzia («oh il vento della vita nei capelli / così bambina correvo non sapevo / che era una corsa tutta in salita»), gli abbandoni e l’assedio interiore del male, la magia interrotta, la luna perduta e gli oggetti, le figure (come lo splendore musaico del ritratto di Maria Luisa Spaziani), il miracolo di ciò che accade («Tu sei la rosa
che io getto oltre il muro sei quello / che non m’appartiene / il futuro / che non potrò vedere») e, infine, la discesa dove la morte affiora.
Donatella Bisutti riporta l’umano al suo segno primario, assumendolo e traversandolo pienamente, senza esornazione. Edmond Jabès, Mario Luzi, Thomas Bernhard, René Char condensano questa ampiezza di fulgore e finitudine, assenza e silenzio, pienezza mistica e incisione, come una rosa di sangue, per tagliare la testa al Tempo.
Ma in questa presenza / assenza vivono lo squarcio ed il limite, la morte e l’abisso che registrano l’ultimo respiro per poi riascoltarlo, l’ombra trafitta, la lingua e il genio della bellezza, come avviene nei numinosi e trasudati testi di Penetrali, fino al dileguo, al sogno, alla preghiera prosciugata: «Ebbi paura di toccare il giglio. / Non un semplice fiore, ma / un nome / la metafora di un cero. / Eppure / come in fondo a ogni purezza anche nel giglio / c’è / lo zolfo giallo del polline che aspetta».
In Inganno ottico, premio Montale e tradotto in Francia da Bernard Noёl per Les Éditions Unes di Draguignan, la zona profonda dello sguardo, condensata nella concentrazione visiva sull’oggetto, l’opposizione, il nulla colmo, il linguaggio simbolico, l’enigma e l’occhio uniscono macrocosmo e microcosmo in un vero processo psichico(«Una briciola contiene il pane / Una goccia / l’acqua della ciotola. / Non / viceversa») oppure («La sfera ci insegna questo: avere / il proprio centro in sé, / nel punto / da cui ogni altro punto / – galassia – / si allontana»).
Il Logos che lega l’uomo all’Universo, il suono e i detriti, il corpo e l’acqua, il passaggio della coscienza, il territorio del respiro affermano la potenza di una germinazione ineffabile della simbologia del profondo, fino ai limiti dell’inconscio («Intrepidi / finché il colpo luttuoso della spada / non penetri lo squarcio delle foglie»):
«Se fissi un punto, quello soltanto, e su di esso ti concentri intensamente, ciò che lo circonda, fosse pure un orizzonte sterminato, diventerà semplice cornice di quel punto. Se continui a fissarlo concentrando su di esso tutta la forza del tuo sguardo, insensibilmente anche la cornice intorno sparirà e quel punto solo rimarrà davanti ai tuoi occhi, sempre più luminoso anche se su di esso non cade alcuna luce. Sarai preso allora da amore sempre più intenso per quel punto, che è unico, finché sarai capace di vedere il mondo intero contenuto in esso. Allora sarai pronto per l’ultima ineffabile rivelazione perché il tuo sguardo si farà confuso e non riuscirai più a fissarlo: non vedrai più nulla i nitido davanti a te, non vedrai più nulla».
Donatella Bisutti, Sciamano. Poesie 1985-2020, Delta 3 Edizioni, Grottaminarda (AV) 2021, pp. 280, Euro 20.
[1] Bisutti D., Sciamano. Poesie 1985-2020, Delta 3 Edizioni, Grottaminarda (AV) 2021.
[2] Id., cit., p. 23