Una recente occasione di ritrovo e di studio ha messo a tema le sfide e le possibilità insite nell’incontro e nel dialogo tra gli esseri umani, i gruppi, gli stati. Il XXVIII Seminario urbinate dal titolo «Fraternità senza terrore», promosso dall’Istituto superiore di scienze religiose dell’Università di Urbino (17-18 settembre 2021), a partire dall’enciclica Fratelli tutti, ha colto la provocazione proponendo un dialogo tra posizioni diverse con studiosi di provenienza variegata. Un metodo dialogico in atto per “provare” concrete esperienze di incontro e di condivisione, come proposto dall’occasione di studio promossa ad Urbino, è oggi non solo necessario, ma vitale per rendere concreta la fraternità aperta, come Francesco scorge nella sua lettera. Il Papa non si abbandona a nessun entusiasmo di maniera o ad un impreciso buonismo. Il suo appello ragionato e motivato si rivolge a tutte le donne e a tutti gli uomini, credenti e non credenti. Orienta quindi la riflessione alle persone di fede e ai gruppi religiosi con lo scopo di far cogliere la bellezza di una sfida, quella del riconoscimento dell’origine comune e quindi della natura che lega tutti gli esseri viventi, in particolare le persone tra di loro e con il creato, grazie proprio al vincolo della fraternità.
Le religioni, non solo quelle monoteistiche, hanno un potenziale significativo per riconoscere la radice comune della natura umana, grazie alle ulteriori scoperte sul fronte biologico, come può essere la conoscenza sempre più approfondita del DNA. Da ciò è possibile aprire una breccia nella possibilità di un riconoscimento all’universalità del principio della fraternità, a cominciare dal superamento degli steccati tre le confessioni, spesso fautrici di distinzioni tra le fedi come distintivi e particolarismi.
L’apertura alla fraternità universale, che abbraccia il fronte biologico, come quello religioso, filosofico, scientifico, economico, morale, può essere un motivo di collaborazione universale anche per le istanze laiche. Lo stesso Jean-Paul Sartre, ricorda Andrea Aguti, in una intervista rilasciata pochi mesi prima della morte, riconobbe la potenzialità di tale principio a favore di uno spirito solidale tra gli esseri umani, a partire appunto dalla comune e riconosciuta base biologica. Da sola evidentemente non è sufficiente a creare condizioni di fraternità, ma esige un coinvolgimento esistenziale ed un impegno morale. Talvolta, i punti di vista “laici” non convergono o sono distanti da quelli strettamente religiosi, o filosofico-teologici. Un esempio è il riconoscimento dell’origine del cosmo secondo il piano della creazione, voluta, secondo i monoteismi, da un atto libero di Dio, Vita e fonte della Vita.
La fraternità è sì scommessa e tensione, ma rappresenta una fase nuova dell’umanità che, secondo il Papa, può essere oggi realizzata e mantenuta, purché si sviluppi una competente consapevolezza in ambito relazionale in grado di sorreggere un’ampia azione educativa, concretizzabile su tutti i piani possibili. Patto educativo globale è chiamata da Francesco questa ipotesi di lavoro che interpella i cristiani e a loro impone l’esercizio sincero e disponibile a vivere con umiltà e disponibilità sia l’apertura verso gli altri, sia le proposte eventualmente avanzate.
Una vera pedagogia interculturale si apre ed è alimentata dalla diversità e, per questo motivo, sa sostenere azioni di dialogo orientate alla corretta conoscenza e valorizzazione delle parti. Ogni forma di violenza, invece, tende al misconoscimento delle altrui posizioni, ridicolizzandole e rendendo tale esasperazione fonte di violenza (cf. FT, nn. 281-282). Se le religioni si ritengono originate dalla Trascendenza non possono giustificare ideologie violente, né sostenere “scuole” di addestramento per l’abbattimento dei nemici. La logica della fraternità universale di papa Francesco nella Fratelli tutti comincia prima di tutto nell’orizzonte umano-sociale, come egli stesso scrive, per allargarsi a quello religioso, trattandosi di una enciclica esplicitamente “sociale”.
L’educazione alla pace è un cammino, che per i credenti è sotto ispirazione diretta di Dio, mentre per altre prospettive, laiche di afferenza/ispirazione religiosa o meno, è possibile ricondurre al bisogno umano di securizzazione individuale e sociale, pur non escludendo eventuali conflittualità. Tuttavia, la fraternità, prospettata da Francesco, è includente e supera il concetto insito nel motto rivoluzionario della Francia del XVIII secolo, poiché l’ideale della fraternità è limitato alla sola Nazione, come emerge dal Discours sur l’organisation des gardes nationales (art. XVI) del 1790 di M. Robespierre. Infatti, dal punto di vista cristiano, «quello che conta davvero è Gesù e il suo Regno, Regno che vuol dire la fraternità senza terrore» (I. Mancini, Tre follie, Edizione con Introduzione di G. Galeazzi, Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche 8 [2003] n. 51, p. 31).
La fraternità non è utopia ed è ben oltre qualsiasi ideologia di parte religiosa o politica, anche se è il Papa in prima persona a farsi promotore di una ampia progettualità vincolata ad obiettivi di pace, concordia, convivenza. Lo stesso culto deve essere orientato a sostenere le relazioni, evitando ogni possibile deriva squadrista, o peggio ancora terroristica (cf. FT, n. 283-284). Se quindi si assumono i principi di fondo di una pedagogia aperta alla complessità, alla differenza, alla convivialità, le religioni, in primis il cristianesimo, pongono e propongono le necessarie condizioni, le quali dovranno essere nutrite da fattive iniziative, finalizzate alla cooperazione, all’impegno, alla concretezza.
Se la fraternità è un punto di arrivo importante, occorre coltivare tale ideale concreto senza terrore e con sana “follia”, come direbbe Italo Mancini nel suo “fraterno testamento” (ovvero il libro Tre follie), se credenti e non credenti, persone di ogni credo religioso si mettono sulla via della prossimità come fondamentale punto di riferimento per vivere in senso universale il vincolo fraterno. Tutto ciò è realizzabile, se si scommette su un’azione pedagogica ampia e complessa, che sappia rinnovare con ragionata e motivata attenzione la domanda del Maestro di Nazaret, che chiede: chi è il mio prossimo?, per ridestare il senso di responsabilità e cura dell’uno per l’altro in un legame di amicizia e di solidarietà. Quell’interrogativo gesuano è aperto quindi alla novità del volto come alterità di ricchezza e di novità. L’altro è molto di più del socius. Infatti, come Francesco, il filosofo Ricœur, qualche decennio prima, ha rivolto l’attenzione alla parabola del Samaritano, definito “buono” dalla tradizione, con lo scopo di sottolineare il senso nuovo e rivoluzionario del concetto di prossimità responsabile, presentato da Gesù, come sottolinea il filosofo Paul Ricoeur.
Se l’altro non è estraneo, nemico, forestiero, opposto, ma è volto, prossimità, perfino senso dell’esistenza individuale e di gruppo, l’Altro è presenza eccedente e relazionale e quando lo facciamo entrare nella nostra vita si presenta come Colui il quale può dare pienezza e senso alla nostra esistenza umana. È l’Altro per eccellenza che ci costituisce responsabili. Le religioni, nella proposta di Francesco, sono chiamate essenzialmente a questo lavoro di riconoscimento – sull’esempio del Samaritano –, per passare dalla minaccia della violenza alla collaborazione dell’amicizia (palese testimonianza è il documento firmato con il Grande Imam di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb il 4 febbraio 2019, cf. FT,n. 285) con il compito di lavorare a favore del ben-essere dell’umanità e nel rispetto della casa comune, secondo l’esempio di “tanti fratelli” anche non cattolici, che hanno mostrato come realizzare la grande vocazione alla fraternità universale (cf. FT,nn. 286-287).