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kobret

 

Il kobra non è un serpente/ ma un pensiero frequente/ che diventa indecente/ quando vedo te/ quando vedo te/ quando vedo te/… Così cantava Donatella Rettore qualche anno fa. Cantava di un kobra che striscia  e si insinua, che lascia una traccia ammaliante, seducente come il canto delle sirene per marinai perduti. Il kobra percorre notte e giorno le strade del nostro hinterland sotto forma di eroina di scarto. Una pallina gialla che viene messa su un pezzetto di carta argentata e poi bruciata con l’accendino. Il filo di fumo sinuoso sale e con una semplice cannuccia lo si può aspirare. È la droga dei giovani. Ma anche dei vecchi tossici. Una droga orientale, da sobborghi di Hong-Kong. Da favelas brasiliane con i panni stesi ad asciugare come bandiere carioca.  Da vicoli stretti che emanano odori penetranti. Da facce spente e scavate, da occhi sudati senza più espressione. Da crisi di astinenza violente. Da corpi malridotti, scheletrici, che si aggirano come spettri tra la gente comune. Da vene piene di buchi profondi, di malinconie da affogare in un oceano di nulla. Sembra che nessuno ci faccia caso. Tutto scorre nel mare della provincia addormentata. In un ritmo senza fine. Con una musica da disco anni’80 in sottofondo. O da serata revival passata nella El Paso della nostra mente tra rum e pera e caipirinha. Peroni ghiacciate a fiumi che ti rinfrescano la gola bruciata dal caldo azzeccoso. Tropicale. Marlboro light e  pantalacci estivi. Corpi che si sfiorano sulla pista gremita:


il kobra si snoda
si gira e m’inchioda
mi chiude la bocca
ma stringe, mi tocca…
il Kobra è col sale se lo mangi fa male, perchè non si usa così il cobra è un blasone, di pietra e di ottone,
è un nobile servo che vive in prigione…

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