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Un altro pianeta

Capocotta, spiagga del litorale romano. E’ la mattina di un giorno di giugno. Un ragazzo gay e un gruppo di ragazze tra incontri e confronti passano la giornata a mare. Questo film è un vero e proprio miracolo. Girato in digitale, e nemmeno di gran qualità, tutto in esterni, con attori e tecnici che saranno pagati dagli eventuali utili, è costato la “spaventosa” cifra di 970 euri: però funziona. Si fa vedere, e mostra una reale tensione narrativa. E’ chiaro che è un prodotto di nicchia, ma va segnalato per questo. Perché, senza alcuno sbattimento narcisistico, anche se con una non estemporanea consapevolezza culturale, il regista-sceneggiatore ha descritto delle persone vere, alle prese con conflitti di una drammaticità non esagitata. Questa non è portata ad alcuna forzatura: benché questa dimensione sia presente, è calata, con molta intelligenza narrativa e verisimglianza, in un andamento che ha le apparenze della normalità, se non della banalità. Il protagonista, Salvatore, il ragazzo gay, si vive con un atteggiamento sospeso tra la passività esistenziale e il dolore di una perdita affettiva che l’ha profondamente segnato, pur a distanza di tempo. L’attore, Antonio Merone, che proviene da solide esperienze teatrali, nonché coautore della sceneggiatura, gli ha dato un mix di spudoratezza fisica pasoliniana, di fragilità e curiosità sentimentali, ma anche di rassicurante umanità di fondo. Tutte caratteristiche evidenziate al meglio da una forte presenza scenica. A lui fa da contraltare la presenza della ragazza, Daniela, che sembra del tutto fuori posto. Anch’essa caratterizzata in modo svelto e felice, appare incerta nel come porsi. Ma questo è il frutto di un riuscito gioco di sponda con l’altra, Stella, che, al contrario, è ciarliera, onnipresente e desiderosa di conoscere. O con l’altra amica, che vive sospesa nei suoi ricordi. La sceneggiatura riesce intelligentemente a dare spazio ad animati sfondi umani collettivi: anche se di gruppi di pochi personaggi sono continuamente compresenti, interagiscono e si danno continuamente il giusto ritmo nel raccontarsi e scoprirsi. Però il loro è un fare, non un dire teatrale. Essi sono accompagnati da una riuscita ambientazione scenografica naturale, metafora di un rapporto più intenso con se stessi, con le loro memorie, le loro fantasie: aiuta a farli uscire dal limbo del non-vivere, dà il coraggio di assumere delle scelte che appaiono diverse dalle premesse che abbiamo visto porre. Scelte che risultano ancora più intense e sentite, come quella d’amore di Daniela e Salvatore, molto tenera, che pare preludere ad un futuro aperto, in grado di spezzare le ossessioni in cui sembravano serrati nel loro “pianeta”.

UN ALTRO PIANETA di STEFANO TUMMOLINI; ITA, 08

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