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Uno in più

Impregnata di una cultura radicata, lontana mille miglia dalle mie concezioni. Provavo a dirglielo, a spiegarle che non avrebbe avuto senso farlo adesso. A sedici anni, quando si è ancora troppo bambini per crescere un bambino. Quando ancora non si sa bene che rotta prenderà la nostra vita. Quando ancora non si è certi che la persona accanto a noi sia davvero quella che vorremo per sempre. Quando ancora ci si sofferma sulle altre ragazzine per strada che guardano storto, o sulla magliettina stretta da indossare per essere fashion. Ma la sua voglia era troppa, la volontà di coronare il loro amore con un simbolo concreto non sentiva ragioni. E per quanto mi sforzassi, tentassi di mostrarle tutto il peggio che riuscivo a trovare, non ottenni niente. Lei se lo sentiva, il suo ragazzo ormai l’aveva convinta. E lei non ci trovava niente di assurdo nel desiderarlo così. In fondo ne aveva viste tante che alla sua età avessero già un figlio, a volte anche due, a volte anche di più. Quindi che problema c’era? Non pensava ad altro, non pensava al fatto di non avere un lavoro, una casa, una stabilità. Non pensava al fatto che doveva badare prima a se stessa, al suo benessere, alla sua indipendenza emotiva e non. Solo dopo avrebbe potuto crescere e curare un altro. Non pensava a niente di tutto ciò. Non lo faceva. Per una sola ragione: lei se lo sentiva. E quando le parlavi taceva, sembrava stesse capendo. Sembrava stesse ragionando su ciò che le dicevi. E invece no. Lei continuava a sentirlo.

 

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