Quanto avvenuto in Abruzzo deve far riflettere. Una tragedia, la più imponente dall’inizio del nuovo millennio per quanto concerne la nostra penisola. Al di la delle ovvie polemiche legate alla prevedibilità o meno dell’evento, alla stabilità delle strutture, tutto ciò non può lasciare noi napoletani senza pensare. Pensare al rischio che comunque si corre vivendo in una delle zone più pericolose del globo, causa la presenza di chi è destinato (lo dice la scienza) un giorno, vicino o lontano, a svegliarsi. Parliamo del Vesuvio, ovviamente. Un famoso detto dice “prima rubarono a San Pietro, dopo si decise di mettere le porte di ferro”. Ebbene ora c’è stata la catastrofe, e viene da pensare a quello che potrebbe succedere alle falde dello “sterminator Vesevo”. Qualche tempo fa fu presentato l’ambizioso progetto «VesuVia», che prevedeva una riduzione delle ben seicentomila (!) persone che risiedono nella zona rossa, ossia quella strettamente adiacente al Vulcano. Ebbene, nonostante l’enfasi della presentazione in pompa magna, oggi di quel progetto non si sa più nulla. Bonus di trentamila euro per coloro che avessero scelto di trasferirsi dalla zona pericolo, guerra dichiarata all’abusivismo edilizio (questo sì, per onor del vero, diminuito), processo di trasformazione delle industrie pesanti in piccole aziende dedite ad attività turistiche ed artigianali, con una maggiore attenzione al territorio, ma soprattutto un portentoso piano di evacuazione in caso di pericolo, grazie a fondi stanziati dalle varie istituzioni, anche l’UE, pari a quasi duecento milioni di euro. Di tutto questo oggi non si sa nulla, se non un vago ricordo di quelle ridicole simulazioni del piano di qualche tempo fa, con ambulanze che, simulando, furono capaci di sbandare e provocare incidenti. Ora, se è vero che qualsiasi decisione politica contrasta con le difficoltà logistiche e anche culturali insite nella popolazione, che vive di quella sottile incoscienza mista a fatalismo, la stessa che oggi anima quegli abruzzesi che hanno comunque deciso di rimanere nelle proprie case pericolanti, ora se tutto questo è vero, è anche vero che di «VesuVia» non ci sono più tracce. E allora si vive col solito atroce dubbio. Ma quei fondi, che fine avranno mai fatto?