Print This Post

Luoise Michel

“LOUISE MICHEL” di BENOIT DELEPINE & GUSTAVE KERVERN FRA, 08

Louise, un’operaia, e alcune sue compagne che, tra la sera e la mattina, si trovano in mezzo alla strada, vogliono usare i soldi della risibile liquidazione per assoldare un killer che faccia fuori il padrone. Uscito in Francia nel 2008, ha profetizzato su alcuni aspetti dell’attuale crisi mondiale. Sia per l’improvvisa chiusura della fabbrica, e sia perché in più di un caso i dirigenti di fabbriche che licenziavano, sono stati oggetto di detenzione degli operai. Il film è debitore allo stile di Aki Kaurismaki, il regista finlandese. Si nota  in quelle atmosfere scenografiche così sfattamente  assurde, sporche e sempre in bilico. La stessa Louise, Yolande Moreau, la splendida non-star, per la sua ostentata kiattezza e sgrazia, ricorda fisicamente le facce del cinema di Kaurismaki; non sa leggere, ma capisce bene le psicologie della gente. Occupa  gli spazi sia visuali che gestuali con una forza che impressiona, tenendo conto cha parla pochissimo. Il suo gioco di rimandi fisici nel film con l’altro, il simil-killer Michel, il geniale e intellettuale attore Bouli Lanners, non poteva essere più perfetto. Tra i due si gioca una partita  di coppia di alto livello: il loro atteggiarsi, benché ai limiti di uno stato di  follia dissociativa, è estremamente misurato, tal che si possono permettere con la più tranquilla concretezza le imprese più strampalate, che i registi, anche sceneggiatori, seguono con la più assoluta fedeltà cronachistica. Dal silenzio metropolitano in cui immergono le realtà operaie che ritraggono, mostrano un approccio di tipo provinciale: particolarmente congeniale ai due attori protagonisti, che sono belgi. Però, mentre il cinema di Kaurismaki è quasi astratto nella sua geometrica linearità sia narrativa che visuale, i due registi immettono nel narrato una buona dose di umanità, direi molto carnale. Le relazioni tra i due sono approfondite e  precisate in termini di assoluta differenza: in effetti sono due transgender, per cui lo stabilirsi di una sincera e profonda corrente affettiva, fino a formare un famiglia è a ruoli apparentemente alternati. Ma è un percorso che partito in un’atmosfera plumbea, trova una dimensione di dolcezza reale. E anche lo sfegatato anarchismo sociale che fin dall’inizio, con allegro disprezzo della dimensione politicamente corretta, mette in scena la rabbia degli ultimi, trova nel sottofinale un’ironica, geniale sconfessione, più attenta alla natura transnazionale dell’attuale capitalismo crisaiolo. Solo che per vederla bisogna aspettare lo scorrere di tutti i titoli di coda: pure questa disposizione è briosamente strafottente. Il film è dedicato a Louise Michel, eroina della Comune.