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“12″ di Nikita Mikhalkov



Dopo un processo contro un giovane ceceno, accusato di aver ucciso un militare russo, suo padre adottivo, e il cui verdetto di colpevolezza sembra scontato, i 12 giurati, dopo una notte di serrati confronti, lo ribaltano clamorosamente.  Il film è il remake molto fedele, eppur mutato nello tesso tempo, di un famoso film del 57, "La parola ai giurati" del grande Sidney Lumet, con un memorabile Henry Fonda. Non giova al film la sua durata epocale: 2 ore e mezza. D’altra parte, la "carne a cuocere" era tanta e aveva bisogno dei suoi tempi narrativi. Il regista, anche sceneggiatore, affronta qui un tema molto tabù per un russo: la guerra di Cecenia. E’ nota la posizione oltranzista di Putin, rispetto ad ogni forma di autonomia cui aspirerebbe gran parte di quella orgogliosa  popolazione caucasica. Mikhalkov è un putiniano convinto. Tuttavia il film cerca di avere, e per la gran parte ci riesce, un approccio non schematico alla faccenda. Nell’originale americano, il colpevole era un ispano-americano, vittima degli stereotipi razziali di violenza, di arretratezza culturale  e sociale. Qui è lo stesso. Con l’aggravante che siamo nel XXI secolo. E la guerra di Cecenia è una delle più feroci che ci siano al mondo, anche se se ne parla meno che del Darfur o della Palestina. E’una spietatezza che ha distrutto ogni speranza di umanità : non c’è altro se non la cieca spirale della vendetta che si autoalimenta senza fine. Il film ci dà degli spaccati di montaggio veloci, quasi dei flash, ma di un’efficacia devastante, su questo infelice paese. Non dà patenti di colpevolezza: si mostra equanime. In un qualche modo, si assiste alla messa su di uno stesso piano dei guerriglieri e dell’esercito russo, ambedue coinvolti in questa insensata carneficina. Come se a lui interessasse solo il lato umanitario. Questi squarci, di forte potenza visiva, quasi da delirio, da una parte, aiutano a inquadrare e a contestualizzare la figura di questo orfano; dall’altra, procurano convicenti elementi di umanità, non solo riguardo a lui, ma anche alle persone care che gli stanno attorno e di cui è rimasto privo. L’unico che lo protegge è il patrigno: un ufficiale russo. Come anche sarà un russo, lo stesso Mikhalkov, nelle vesti di attore, che se ne farà carico dopo il processo, per proteggerlo da quella congiura, originata da interessi sordidi, che lo voleva capro espiatorio. Le caratterizzazioni individuali dei giurati sono attentamente curate e sono immesse in una descrittività cinematografica che non fa apparire per nulla la matrice teatrale del testo di partenza. Anzi, in questo il russo è molto più abile, dinamico, e lo spazio è meglio utilizzato del film del 57.

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