Pubblicato da un editore poco noto ai più (Noubs), con una copertina improponibile (a detta dello stesso autore), “Ho Magalli in testa ma non riesco a dirlo” è una raccolta di racconti dell’esordiente Marco Marsullo, che ho avuto l’occasione di conoscere ad una presentazione del suo libro.
Il titolo è ispirato quasi certamente ad un brano degli Afterhours (<<Ho tutto in testa ma non riesco a dirlo>>) e distingue anche uno dei racconti di questa silloge.
Quando si leggono le prefazioni o le postfazioni di libri come questo, si finisce, in un’eventuale recensione, per essere influenzati dal parere dell’autore della pre o postfazione; più o meno inconsciamente si finisce per appiattire la propria opinione su quella di un altro. Sotto questa influenza, mi viene da dire che i protagonisti di alcuni racconti sono degli antieroi deviati, malati e ossessionati, scaraventati in un mondo oltremodo ignorante e assurdo, dove impera una violenza senza scopo, cieca e stomachevole, come alcuni personaggi. Ed effettivamente è così. Ma questo potrete leggerlo acquistando il libro.
Proviamo a dire qualcosa di non detto.
Confesso che l’inizio è stato spiazzante. I primi tre racconti (soprattutto il primo e il terzo) sono intrisi di vuota violenza e poggiano su una escalation di colpi di scena oscillanti tra il grottesco e il ripugnante, che si interrompe solo alla fine della narrazione, disorientando l’ignaro lettore, il quale, incontrando qua e là innesti di sarcasmo e ironia, non si aspetta la piega che poi di fatto prendono le storie.
Proviamo a delineare una reazione-tipo ad uno dei racconti di Marsullo, precisamente il terzo.
Inizia il racconto. Il protagonista, persona apparentemente normale, attende un amico sotto casa. Poche righe e primo colpo di scena. Fin qui tutto normale.
La scena si evolve, al protagonista succedono delle cose e …. secondo colpo di scena. Possibile reazione del lettore: un espressivo “gulp” fumettistico, occhi leggermente in fuori, sopracciglio inarcato a connotare un maggior stupore.
Ulteriori evoluzioni, altro inaspettato colpo di teatro, probabile reazione: <<Nooo daiii! Nooooo! >>. Voce strozzata, occhi strabuzzati, sentore di vomito.
Ultimo colpo di scena, quello definitivo, reazione: un balbettante <<ma, ma…noooo, ma…perché??? >> voce connotata da forte incredulità e grande stupore misto a ripugnanza, testa che arretra leggermente, occhi (figurativamente) fuori dalle orbite e movimento della mano come a scacciare una brutta immagine.
Qualcuno potrebbe chiedersi perché dovrebbe leggere un racconto così. Be’, innanzitutto vi sembra poco? Un racconto che in poche pagine riesce a provocare delle reazioni, più o meno divertite, più o meno schifate (per alcune immagini che evoca) credo abbia raggiunto il suo scopo (ammesso che i racconti ne abbiano uno). Metteteci che la scrittura è asciutta, la narrazione è impietosa e allo stesso tempo disincantata ed ecco fatto, ci sono abbastanza motivi per leggerlo.
Man mano che la lettura prosegue, è un continuo alternarsi di momenti assolutamente pulp a situazioni grottesche e divertenti, con persone comuni e personaggi famosi impegnati nella vita quotidiana (in questo senso certamente da ricordare il racconto << Casa Tatangelo>>) come protagonisti, che inseriti in situazioni al limite del surreale, talvolta del ridicolo, strappano alternativamente riso a denti stretti e sonore risate a bocca larga.
È un’altalena dalla quale si scende solo al racconto numero quindici, Hotel Gomorra, con il quale Marco Marsullo riesce a mettere al centro la figura di Roberto Saviano, senza scadere nel già sentito o peggio ancora nella stucchevole retorica che caratterizza spesso i discorsi sullo scrittore di Gomorra . È l’uomo Saviano il protagonista del racconto, non il personaggio, ma l’uomo spogliato di ogni retorica, di ogni sovrastruttura creata dal clamore mediatico; è l’uomo che, stanco della sua vita in Italia, vuole fuggire, perché <<Quando anche l’eco delle più amene parole di stima e solidarietà si disperde, cosa resta? Resta un ragazzo. Resta la sua scorta. Restano da soli >>.
A fine lettura rimane di sicuro un narratore di cui si percepisce il gusto del raccontare storie di personaggi <<sempre in debito d’ossigeno con le proprie esistenze>>, personaggi che in fondo sono persone comuni che si scontrano con la noia della vita, con la routine dell’ordinario, reagendo in maniera spesso inconsulta.
In ultimo volevo aggiungere qualcosa sulla napoletanità. Marco Marsullo vive a Napoli, ma la napoletanità che traspare dai racconti è latente, non ostentata ma presente e rappresentata nel modo migliore attraverso alcuni personaggi che animano queste storie.