Tra i maschi della nostra redazione serpeggia ultimamente una forte preoccupazione. Anzi, a dire il vero, per taluni si tratta di un vero e proprio timore: quello di perdere i capelli. Poiché chi scrive ha superato da tempo tali preoccupazioni, raggiungendo una piena fierezza del proprio cranio pressoché spoglio, avendo potuto constatare, diciamo così, “sul campo” la veridicità di certe voci in merito alla virilità dei calvi, ho ritenuto opportuno rincuorare amici e colleghi con una serie di elementi di indiscusso valore. Dal momento che questo spazio è dedicato alla saggezza popolare, partirò proprio da un proverbio napoletano le cui asserzioni sono difficilmente confutabili: “Chi s’annammora d’e capille e d’e diénte s’annammora ‘e niente” (trad. Chi s’innamora dei capelli e dei denti s’innamora del nulla). Questa pillola di saggezza partenopea ci ricorda la caducità di certi elementi di bellezza. Capelli e denti, prima o poi, vengono meno. Un fascino basato prevalentemente su uno di questi due elementi è destinato per natura a scomparire inesorabilmente. Senza star qui a ripetere che anche Socrate e Platone erano calvi, così come almeno stempiati furono gli altri maggiori pensatori della storia, riporteremo uno stralcio dell’Elogio della calvizie, opera di un filosofo neoplatonico del IV secolo d.C., che risponde al nome di Sinesio. Pagano convertito al cristianesimo e successivamente divenuto anche Vescovo, nell’anno di Grazia 396 Sinesio scriveva che << se è vero, com’è vero, che l’uomo è fra tutte le creature la più divina, fra gli uomini che hanno avuto la fortuna di perdere i capelli, l’individuo completamente calvo è in assoluto l’essere più divino sulla terra >>. Una fronte ampia e liscia è segno di saggezza, bontà e ottima salute. Non era un caso che lo stesso dio della medicina, Asclepio, fosse raffigurato sempre calvo. E facciamo un volo pindarico per arrivare a lui, il maschio d’Italia, il Duce fondatore dell’Impero. Simbolo dell’italica virilità, anche Mussolini va annoverato tra i grandi pelati del passato, se non altro per le sue innumerevoli avventure amorose che confermano la regola alla quale intendiamo dare ampia fede in queste pagine.