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Napoli e l’onore al maschile

VII PUNTATA NAPOLISOFIA

NARRARE NAPOLI   IN VERSI E IN MUSICA II

NAPOLI E L’ONORE AL MASCHILE

La Sceneggiata Napoletana, si diceva: tutti sappiamo che c’è, ma non tutti saremmo in grado di spiegare cos’è.  Secondo Wikipedia è un

“genere di rappresentazione popolare, che alterna il canto con la recitazione e il melologo{{2}} drammatico, nato e sviluppatosi a Napoli particolarmente tra gli anni ’20 e gli anni ’40 del Novecento{1}. Il melologo partenopeo nacque allo scopo di unificare il genere musicale classico con il teatro: le rappresentazioni erano infatti imperniate su una canzone di grande successo, dalla quale la sceneggiata prendeva il titolo e, attorno al tema musicale, veniva costruito un testo teatrale in prosa, risultando così un lavoro in cui canto, ballo e recitazione si fondevano in un’unica rappresentazione.”

Pare che il merito principale della Sceneggiata vada riconosciuto comunque

“ al Governo italiano, che dopo la disfatta di Caporetto appesantì le tasse sugli spettacoli di varietà, giudicati frivoli e degradati, stimolando gli autori, per aggirare le tasse, ad ideare uno spettacolo misto. Uno dei primi esempi di sceneggiata è costituito da PUPATELLA (1918) dall’omonima canzone di Libero Bovio, legata ai temi del tradimento e della malavita.”

E’ proprio sul primo di  questi due temi, per ora, che desidero richiamare l’attenzione di chi segue la presente Rubrica, visto che si intreccia strettamente con un altro, l’onore, con cui avevo concluso la puntata precedente, contenente alcune riflessioni su LACREME NAPULITANE. PUPATELLA coglie una situazione antecedente; anche se anagraficamente si tratta solo di sette anni, eticamente siamo su tutt’altro livello, come dimostrerò – spero – tra poco e nella puntate seguenti. Intanto godiamoci la canzone, sia nella versione di Antonio Bonomo (nella sceneggiata “ ‘A Serata de Tarantelle”)

http://www.youtube.com/watch?v=wm1zdFclNoA

sia in quella di Mario Merola, da cui è impensabile prescindere

http://www.youtube.com/watch?v=LYusXnd5L6M

Ed ora il testo, di Bovio-Bongiovanni, che narra una storia in cui amore, gelosia e onore sfreggiato si attorcigliano l’uno con l’altro in un groviglio da cui nessuno può fuggire. E vorrei rilevare, per così dire propedeuticamente, che mentre la sorte riservata alla donna fedifraga è di essere scannata – senza peraltro che nessuno dei presenti pensi minimamente a intervenire – per il suo correo l’amante omicida ha in serbo una soluzione da uomo, un duello a coltellate, con ogni probabilità, da svolgere fora e secondo il rituale, onde preservare l’onore di entrambi, recentemente riconquistato dall’uno e ancora da ritrovare per l’altro, il traditore tremante:

PUPATELLA

Quanto ve prego, continuate!/
chest’è  ‘a serata d’ ‘e tarantelle./
State abballanno? E abballate,/
ca nun mme ‘mporta ‘e niente/
mo ca, ‘mpruvvisamente,/
so’ asciuto a libertá!/

Pecché triemme? Nun hê  ‘a tremma’./
Jjammo, abballa, nun fa’ abbede’!/
E ride, ca si ride si’ cchiù bella, Pupate’…/
E abballa ‘a tarantella,/
ca i’ tengo mente a te!/

Mm’hanno menato quatto palomme/
ca so’ arrivate dint’ ‘e ccancelle;/
steva signato nu nomme,/
‘o nomme ‘e chist’amico/
ca vo’ abballa cu tico/
pe’ fa’ nu sfreggio a me./

Pecché triemme? Nun hê  ‘a tremma’…/

Dint’ ‘e ccancelle, cierti mumente,/
sti mmane a morze mme so’ magnate!/
I’ nun capevo cchiù niente,/
dicevo: E comm’è stato/
s’ ‘i stongo carcerato/
p’essa? (Pe’ te! Pe’ te!)/

Viene, abballa, strignete a me,/
quanno abballe si’ sempe tu./
‘O vi’ ll’amico tujo ca sta tremmanno,/
Pupate’:/

‘O ssape ca i’ te scanno/
ma nun t’ajuta a te!/

Come ben si vede, tra gli altri temi già evidenziati è presente in PUPATELLA anche quello del carcere, ‘e ccancelle, su cui bisognerà in futuro insistere a lungo dato che le canzoni in argomento sostituiscono un capitolo importante della Napolisofia. Qui e ora, però, è arrivato il momento di affrontare di petto la questione fondamentale, l’onore. Un onore, naturalmente, tutto declinato al maschile.

Ho fatto su Google una ricerca per “delitto d’onore”; una ricerca davvero modesta, rispetto alla mostruosa quantità dei risultati ottenuti. Comincio, come al solito, da Wikipedia, da cui traggo liberamente quanto segue:

“In diritto, il delitto d’onore è un tipo di reato caratterizzato dalla motivazione soggettiva di chi lo commetta, volta a salvaguardare (nella sua intenzione) una forma di onore, o comunque di reputazione, con particolare riferimento a taluni ambiti relazionali come ad esempio i rapporti matrimoniali o comunque di famiglia. L’onore, in questo senso inteso, è in alcune legislazioni, riconosciuto come un valore socialmente rilevante di cui si possa e si debba tener conto anche a fini

giuridici, e specialmente se ne parla quindi in ambito penale. La ragione si insinua nella considerazione della motivazione delle azioni umane, che in date culture possono tener profondamente ed anche tragicamente conto di esiti estremi della pressione sociale; questa muove le decisioni dell’individuo talvolta ben oltre le norme codificate ordinamentali, ma pur sempre occorrerà valutare – almeno in diritto latino – della qualità dell’animus nocendi.”

In Italia, sino a pochi decenni fa, la commissione di un delitto perpetrato al fine di salvaguardare l’onore (ad esempio l’uccisione della coniuge adultera o dell’amante di questa o di entrambi) era sanzionata con pene attenuate rispetto all’analogo delitto di diverso movente, poiché si riconosceva che l’offesa all’onore arrecata da una condotta “disonorevole” valeva da gravissima provocazione, e la riparazione dell’onore non causava riprovazione sociale.”

Prima della riforma del 1981 l’articolo 587 del Codice Penale recitava:

“Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.”

Da notare che, mentre si parla del “coniuge” non si fa cenno a figli o fratelli; inoltre il medesimo articolo “richiedeva che vi fosse uno stato d’ira (che veniva in pratica sempre presunto)” e “la ragione della diminuente doveva reperirsi in una  illegittima relazione carnale che coinvolgesse una delle donne della famiglia”. Sembra quindi evidente che, a parte l’ipocrisia di quel “coniuge” bisex, la Legge era stata pensata e formulata per gli uomini, mariti, padri o fratelli che fossero. Del resto era ancora previsto nel Codice “l’istituto del “matrimonio riparatore, che prevedeva l’estinzione del reato di violenza carnale nel caso che lo stupratore di una minorenne accondiscendesse a sposarla, salvando l’onore della famiglia”.

Ma insomma che cos’è questo onore cui fino a trent’anni fa il legislatore attribuiva tanta importanza da usarlo come sconto di pena in caso di omicidio? Sempre in Wikipedia se ne dà una definizione che più imprecisa non si potrebbe ed è naturale trattandosi di un sostantivo astratto (ahi, che ossimoro!):

“Il termine onore è usato ad indicare un sentimento che comprende la reputazione, l’autopercezione o l’identità morale di un individuo o di un gruppo. In generale, poste di comune condivisione talune regole comportamentali nell’ambiente di riferimento, l’onore corrisponde al diritto al rispetto da parte degli altri come conseguenza premiale del contemporaneo dovere di rispetto degli altri.”

La questione – lo vedremo in futuro – è molto complessa, soprattutto quando si volesse declinarla anche al femminile, come ormai bisognerebbe cominciare a fare. Per questo ho deciso di chiudere per oggi con una canzone non molto nota, ma a mio avviso assai pregevole soprattutto nell’interpretazione di Giulietta Sacco

http://www.youtube.com/watch?v=PRd6TJTcyNY

Il pezzo si intitola ‘E PPENTITE ed è di Bovio e Albano (1925). Racconta la drammatica storia di una giovane donna, una sciantosa, rimasta incinta e piantata dal suo innamorato. Secondo il costume dell’epoca fu costretta ad accettare il ricovero forzato in un’istituzione{{3}} ad hoc: 

Io sto’ dint’  ‘e Ppentite. E tu addo’ staje?
E cu chi staje? Chesto vurría sape’.
Tu duorme  ‘a notte? Ma io nun duormo maje
e ‘nnant’a st’uocchie veco sulo a te.

Che vuo’, che vuo’? Nemmeno si’ cuntento
mo ca pe’ te mm’hanno ‘nzerrata ccà?
Si mamma aspetta ‘o juorno ca mme pento,
falle assape’ ca so’ pentita già.

Pentita ‘e che? Pentita
ca t’aggio amato assaje.
‘Nfame, nisciuna maje,
fuje cchiù pentita ‘e me.

Jurnate sane aret’ ‘a gelusia,
desideranno ‘o sole e ‘a libertà.
Passa ‘o pianino e saglie ‘a miez’ ‘a via
quacche canzone ‘e tantu tiempo fa.

E i’ canto. Che te cride? I’ chiagno e canto
e po’ jastemmo e po’ torno a cantà.
Ah, comm’è allèra ‘int’a stu campusanto
‘sta sciantusella d’ ‘o cafè Sciantá.

Fin qui è tutto abbastanza chiaro: il seduttore è uccel di bosco, la sedotta paga il fio della colpa. Ma la chiarezza si oscura considerevolmente nella terza e ultima strofa:

Mme so’ sunnato a n’angiulillo junno,

nennillu mio, ca mme diceva: “Oje ma’,
oje ma’, pecché mm’hê miso ‘ncopp’ ‘o munno
quanno hê tenuto ‘o core ‘e mme lassa’?”

No, ninno mio, mammà prega ‘a Madonna
ca nun ‘a castigasse ‘ncuollo a te.
Tu staje luntano, ma io te canto ‘a nonna,
comme si t’addurmisse ‘mbracci’ a me.

Chi è esattamente l’angiulillo junno che la Pentita vede in sogno, in lui riconoscendo il proprio bambino? E’ la creatura che tuttora porta in grembo? Ma l’angiulillo parla, rimproverando alla madre di averlo lasciato: è già nato, allora? E in tal caso, perché lei si trova ancora nel ricovero, che viene così a somigliare più ad un carcere che ad una casa di accoglienza? Ha commesso forse qualche crimine, oltre a quello contro l’onore (il suo), oltre al “delitto d’amore” che risulta tanto grave da meritare non solo il pubblico ludibrio, ma anche una sorta di detenzione implicante tra l’altro la separazione dal figlio? Di fatto, lei si sente colpevole, tanto da pregare la Madonna di non far ricadere la meritata punizione sul nennillu ed è curiosa questa immagine della Mater Misericordiae che potrebbe anche decidere di castigare un innocente. Un’altra certezza domina la situazione: la Pentita ama il bambino che sta luntano, nella sua mente amorevole lo tiene tra le braccia, lo culla, lo fa addormentare. Si chiude con la sua icona struggente la storia narrata dalla canzone, storia per molti versi oscura e, a quanto sembra, diversa dalle rielaborazioni che ne vennero fatte in seguito.
Secondo il Sito Hit Parade Italia,

“Libero Bovio, nel 1925, volle portare sul pentagramma la storia di una pentita: una sciantosa che, illusa dal corteggiatore, rimane incinta e quindi fu rinchiusa in convento. La canzone fu affidata all’ugola di Elvira Donnarumma, anche se a portarla al successo fu Ria Rosa, che fu protagonista anche del lavoro teatrale portato in scena a New York. Nel 1951, per la regia di Raffaele Matarazzo, nasce anche la pellicola Tormento tratta dalla trama di “E Ppentite”. Tra i protagonisti del film: Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson”

A questo proposito sul Sito FILMTV.IT  leggiamo una trama che vagamente assomiglia alla nostra canzone:

“Perseguitata dalla matrigna, Anna non rinuncia al suo amore. Anna (Sanson) ama, riamata, il giovane Carlo (Nazzari), ma tale relazione è malvista dalla matrigna della ragazza. Accusato ingiustamente di omicidio, Carlo viene incarcerato e Anna dà alla luce una bambina. I due si sposano, ma il padre di Anna muore e la matrigna impone alla giovane di separarsi dalla bambina e di vivere in una casa di correzione.”

Insomma niente che possa sciogliere l’enigma del testo di Bovio, che sembra destinato a rimanere tale anche perché la Rete è insolitamente avara di informazioni nel merito. In compenso la canzone in sé è abbastanza eloquente per quanto attiene agli argomenti qui visitati, ossia la narrazione per mezzo della parola musicata e le tematiche collegate all’onore. Quest’ultimo ci è apparso oggi, attraverso le due canzoni esaminate, un moloch orrendo cui per troppo tempo sono stati offerti in sacrificio i sentimenti più sacri e importanti finché qualcosa – qualcuno – non ha trovato in sé il coraggio di spezzare la sciagurata catena. Proseguendo nella ricerca, però, scopriremo forse che non veramente di onore si era trattato, ma del suo esatto contrario.

 


[1] Dal sito NAPOLIGRAFIA: “In tempi più o meno antichi, le ragazze madri, cadute nella rete di seduttori che poi scappavano o si rivelavano del tutto inaffidabili, per espiare la loro colpa amorosa, trovavano asilo nella Pia Opera del Ritiro di Santa Maria del Gran Trionfo (sito in Via Foria a Napoli), denominata “IL CONVENTO DELLE PENTITE”. Tale istituzione ebbe termine intorno al 1920. Nonostante ciò, il costume non cambiò. Queste ragazze, infatti, espiavano la loro colpa con il rito dei “DUDECE SABBATE D’ ‘A MADONNA” (I Dodici Sabati della Madonna). Ogni sabato, infatti, alle quattro del mattino, in alcuni quartieri napoletani, passavano per i vicoli coloro che andavano a far penitenza dalla Madonna. Già all’alba si udivano le loro preghiere, poi una voce di donna (soprannominata “a pacchiana”) rompeva il silenzio: “Susiteve, ca chisto è ‘o quinto sabbato d’ ‘a Maronna. Susiteve” (“Svegliatevi, che questo è il quinto sabato della Madonna. Svegliatevi”). La processione si fermava e si attendeva che, tutte quelle che dovevano espiare la colpa, si unissero al gruppo. In questo modo si formava la  PROCESSIONE DELLE PENTITE .”[1]


[[2]] Da Wikipedia: Il melologo (dal greco mélos = melodia, e lógos = parola) è un genere musicale nato nel XVIII secolo che unisce la musica con il parlato. In particolare, un melologo è un monologo nel quale i passaggi che hanno maggiore accento emotivo vengono sottolineati da un accompagnamento musicale. La musica serve anche per il passaggio tra un monologo e l’altro. In Francia è detto mélodrame, in Inghilterra melodrama. Questa forma di espressione drammatica venne creata da Jean-Jacques Rousseau con il suo “Pygmalion” (1770). Il melologo inoltre è anche un modo di “cantare” per cui la voce non canta ma parla seguendo delle inclinazioni alte e basse, con diminuendo e crescendo.[[2]]

[[3]] Liberamente tratto da Wikipedia.[[3]]

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