Ristoranti italiani sempre pieni? Pance che si fanno capanne di gusti esotici e sapori low cost? Programmi tv in salsa mielosa con cuochi rubicondi già avvinazzati prima ancora di andare in onda? Ultime cene luculliane per cominciare la dieta sempre di lunedì? Dopo abbuffate pantagrueliche di luoghi comuni sul cibo, ecco finalmente un libro sull’ars culinaria che giunge come cacio scientifico su maccheroni letterari. In un universo lobotomico di cavoli a merenda, l’ansia modaiola di cucinare ad ogni costo per mangiare a tutte le ore sembra passare dalla padella alla brace dell’attenzione mediatica. E schizza più dello spread: sprizza e spruzza ricette da tutti i pori sociali come un pachino sventrato.
Si fa presto a dire cotto è tutt’altro che un compendio di sapori e dissapori sull’estetica italica di dare al cibo un valore inestimabile: è l’ironico e colto saggio di Marino Niola, antropologo votato al giornalismo gastronomico, che ci fa addentrare cum grano salis nell’universo di miti, riti e insospettabili aneddoti storici del pane quotidiano e dei suoi derivati. Così la mozzarella diventa un modello scultoreo dal biancore azzurrato d’impostazione neoclassica la cui forma rotondeggiante sembra vincere qualsiasi timore edipico. Le fragranti pastelle di verdure meglio note come tempura, vanto nipponico d’esportazione, non sono altro che la povera invenzione seicentesca che i missionari portoghesi propinavano ai marinai per rendere più sopportabile l’astinenza dalle carni. Eppure proprio il cattolicissimo Sant’Antonio Abate aveva per primo <<sdoganato porci e porcherie>>, ovvero derivazioni alimentari dell’unico corpo mortale di cui non si butta via nulla. Già, perché al Santo dei fuochi la tradizione popolare aveva affidato il compito di inaugurare il Carnevale il 17 di Gennaio, e qualcuno aveva avuto la felice idea di dipingere ai suoi piedi un maialino. Sacro contro profano. Sensi contro razionalità. Cotto contro crudo. Insomma è il connubio dei contrari che, come vorrebbe il padre dell’antropologia Claude Levy Strauss, interseca simboli, immagini e realtà, per fare dell’uomo un animale (pur sempre) sociale. Peccato, però, che all’ottuso benpensante del terzo millennio non sempre riesca di conciliare gli opposti, specie ai <<bruti di fondovalle, alias leghisti>>, come ricorda sardonico Niola. I – senza offesa - polentoni, infatti, si sono lasciati vincere da quella che il professor Niola descrive come un’ irresistibile ascesa tardo risorgimentale del maccherone: delirio tricolore di un’Italia bella, buona e succulenta, proprio perché una e multipla, quante sono le forme e le innumerevoli sottovarianti regionali e locali della pasta. Per amore di quella pasta, Caruso non riuscì a trattenersi in un ristorante di New York: tutti lo osservavano mentre mangiava, per carpire l’arte dell’arrotolare gli spaghetti. Ebbene, all’ennesimo spionaggio il tenore mandò al diavolo forchetta e galateo per affondare trivialmente le dita nel crogiuolo fumante della sua pasta con le pummarole. Beato precursore di Totò e al tempo stesso accigliato ai danni del maccarone che provoca: un po’ come Alberto Sordi nei panni dell’americano a Roma. Niola ha presentato Si fa presto a dire cotto alla libreria Feltrinelli di Caserta, nell’ambito della rassegna Le piazze del Sapere. Per l’occasione è stato illustrato anche Letture di gusto, un progetto per avvicinare lettori e buongustai casertani a godere meglio delle risorse di Terra di Lavoro, giacché, come ha ricordato il Presidente della Camera di Commercio di CasertaTommaso De Simone, <<il cibo è territorio e cultura del nostro territorio>>. Alla presentazione del saggio sono intervenuti anche Pasquale Iorio, Francesco Marconi, Antonio Puzzi e l’antropologo Augusto Ferraiolo, che ha sottolineato quanto <<Caserta debba e possa fare di più per riscattare il suo buon nome di provincia fertile in una Campania Felix>>, regno fortunato in cui dall’amore di sole e terra sono nate primizie eccellenti quali la castagna di Roccamonfina e la deliziosa mela annurca del maddalonese e delle valli di Suessola.