L’ antico mestiere napoletano dell’acquafrescaio nasce in tempi remoti e la sua origine è connessa con una fonte d’acqua sulfurea che sgorgava presso Santa Lucia, la cosiddetta acqua d’è mummarelle, dal nome degli antichi orciuoli con cui ci si recava a prenderla. Ben presto la fervente fantasia dei napoletani attribuì all’ acqua dei poteri quasi magici, arrivando a considerarla una vera panacea in grado di curare persino i reumatismi e gli acciacchi senili. Gli abitanti di Santa Lucia e quelli dei dintorni concepirono l’idea di vendere la preziosa acqua, specie ai turisti che affollavano Napoli durante l’estate e si deliziavano non poco dissetandosi con i bicchieri offerti da venditori e venditrici che occupavano la riviera. I luciani (abitanti del quartiere) decisero persino di chiudere ogni anno la lucrosa attività con una festa coincidente con l’ultima domenica d’agosto, giorno in cui si festeggiava la veneratissima Madonna della Catena. Venditori, venditrici e gente del popolo si tuffavano in mare e coinvolgevano chiunque si trovasse a passare per la riviera.
Col tempo il mestiere d’acquafrescaio divenne famosissimo e i venditori cominciarono ad organizzarsi con allegri chioschetti da cui pendevano limoni ed agrumi vari e dove facevano bella mostra di sè le mummarelle. Acquafrescai sorridenti e urlanti invitavano passanti e turisti a godere dell’acqua che era ormai diventata celebre, al pari di pizza e taralli, le altre specialità locali. Ma, si sa, il troppo storpia. Difatti, l’andirivieni continuo dei venditori che andavano a riempire gli orciuoli alla fonte e un’epidemia feroce di colera, che si diffuse a Napoli negli anni settanta dello scorso secolo, indussero le autorità a chiudere la fonte e a mettere fine al commercio illecito. Con esso scomparve anche a poco a poco uno dei mestieri più fascinosi e suggestivi di Napoli, lasciando spazio ai moderni e numerosi chioschi dei nostri giorni, che somigliano in verità più a degli chalet, eredi di una tradizione ancora viva nei ricordi di tutti i napoletani.