Si è concluso lo scorso 28 giugno il ciclo di caffè filosofici organizzati da Rita Felerico. La lectio dal titolo Orfeo e/o Euridice: l’amore intransitivo è stata tenuta da Berardo Impegno, professore di Filosofia Morale presso l’Università Federico II di Napoli ed assiduo frequentatore del Cafè Philo.
«Il mito di Orfeo ci dice questo: quando l’amore vuole conoscere la verità, si incammina per una strada senza vie d’uscita» ha esordito Impegno. La discussione si è soffermata sul mito greco, ma anche sull’opera lirica, dalla Carmen alla Traviata, quest’ultima a rappresentare la rarità dell’amore transitivo tra Violetta e Alfredo, corrisposto, passando per Gli amanti incappucciati di Renè Magritte, del cui dipinto nel corso dell’incontro sono state distribuite alcune stampe. L’opera surrealista raffigura, infatti, l’impossibilità da parte degli innamorati di guardarsi, poiché la certezza del sentimento dell’altro spegne la passione, il dubbio la alimenta.
Al centro della lectio sono state, tuttavia, anche le diverse interpretazioni che nel corso della storia hanno circondato il mito di Orfeo. Il mito narra che Euridice, ninfa amata dal musico, cantore e poeta Orfeo, un giorno calpestò un serpente nascosto tra l’erba che la morse, provocandone la morte prematura. Preda dello sconforto, Orfeo decise di scendere negli Inferi ed utilizzare la magia del suo canto per riuscire in un’impresa preclusa ai mortali: riportare un’ombra alla vita, emozionando Ade e Proserpina. Questi concessero ad Orfeo di condurre Euridice al di fuori degli Inferi, a patto che lui non si fosse mai voltato a guardarla durante il tragitto. Ma Orfeo si voltò ed Euridice morì una seconda volta.
Quale significato ha in realtà la trasgressione di Orfeo?
Due sono le versioni principali del mito, la prima è quella proposta da Virgilio nelle Georgiche. La seconda è la versione contenuta nelle Metamorfosi di Ovidio. Virgilio non fornisce spiegazioni circa il gesto di Orfeo, giustificandolo come un atto di improvvisa follia (subita dementia). In Ovidio, il poeta trasgressivo dell’ars amatoria, Orfeo dubita che Amore sia una divinità conosciuta anche tra le ombre, pertanto posò gli occhi su Euridice rassicurato, temendo di perderla nuovamente.
Secondo Colli la via da seguire per una corretta interpretazione del mito è racchiusa nel rapporto tra visione e conoscenza. L’uomo greco, infatti, concepiva l’amore come un processo conoscitivo e non sensuale a cui l’uomo non può sottrarsi. Orfeo dunque rinuncia all’amore per la conoscenza. Diversa è l’interpretazione di Umberto Curi, secondo il quale il patto proposto da Ade e Proserpina è un foedus iniquus poiché entrambi sono consapevoli dell’impossibilità da parte dell’amante di evitare di posare il proprio sguardo sull’amata. Secondo Gluck, che intorno al mito ha costruito un’opera teatrale, è Euridice a chiedere a Orfeo di voltarsi come prova dell’immutato amore.
Cocteau ritiene invece che Orfeo necessiti della perdita di Euridice per continuare ad essere poeta, interpretazione che Impegno ha associato al processo di sublimazione di Freud.
Bernardo Impegno ha poi condiviso con il pubblico la sua interpretazione del mito, secondo la quale Orfeo si volterebbe per timore di non essere più amato poiché il desiderio è sempre alimentato da quel che non c’è più. Il desiderio è mancanza.