Cala il sipario sugli Youth Media Days, l’innovativa kermesse giornalistica tenutasi al PAN dal 21 al 23 settembre, patrocinata dal Comune di Napoli con l’adesione del Presidente della Repubblica. «E’ stato uno degli eventi più interessanti degli ultimi anni in Italia» ha dichiarato il giornalista Rai, Michele Mezza, che ha preso parte agli YMD. Tanti gli ospiti ed i temi trattati, dal giornalismo scolastico ed universitario al precariato. Dal controverso mondo delle scuole di giornalismo ai giornalisti e fotoreporter che raccontano l’Europa ed il mondo. Dal ruolo della filosofia nel tempo dei nuovi media al giornalismo coraggioso di Lirio Abbate (L’Espresso) e dei ragazzi di Radio Siani. Il dibattito più acceso è stato senza dubbio quello della giornata di sabato sulla questione del giornalismo precario. Al panel hanno preso parte il Sindaco Luigi De Magistris, che ha più volte elogiato l’evento ed i suoi ideatori, Ottavio Lucarelli, Ciro Pellegrino, membro del Coordinamento giornalisti precari della Campania, la giornalista Amalia De Simone, collaboratrice del Corriere della Sera, vittima di intimidazioni criminali a causa delle quali ha ricevuto ingenti richieste di risarcimento danni, Valeria Calicchio (Errori di Sampa).
Alla luce dell’importante successo di questa prima edizione italiana degli Youth Media Days, è tempo di bilanci, soprattutto per gli organizzatori. Ne parla Michele Giustiniano, giovane giornalista e teologo napoletano, già ufficiale addetto stampa della Marina Militare e della Nato, nonché segretario generale di Youth Press Italia (l’associazione nazionale dei giovani giornalisti italiani) e ideatore del Festival.
Da organizzatore, qual è il bilancio complessivo del Festival?
«Dire semplicemente che il bilancio è positivo sarebbe banale. Se lasciamo parlare i numeri, è inevitabile riconoscere che i risultati sono straordinari: circa 800 partecipanti, oltre 400 giornalisti accreditati, quasi 50 redazioni e associazioni giornalistiche direttamente coinvolte, decine di scuole e istituti universitari presenti con delegazioni di studenti e docenti. E siamo solo alla prima edizione. Ma al di là delle fredde cifre, il risultato che mi sta più a cuore è quello relativo all’entusiasmo. Non ho mai visto tanti colleghi tutti insieme, così partecipi ed entusiasti dell’iniziativa. Le loro attestazioni di stima e di gratitudine ci hanno ricompensati del duro lavoro svolto in questi mesi di preparazione».
Alla luce della scarsa attenzione riservata dalle grandi firme al tema del precariato, gli interventi del Coordinamento dei giornalisti precari e la partecipazione di Ottavio Lucarelli ed Enzo Iacopino, rispettivamente presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Campania e presidente Nazionale dell’Ordine, nell’arco delle tre giornate del Festival, hanno permesso agli YMD napoletani di farsi promotori della legge sull’equo compenso?
«Certamente è una legge che sosteniamo con forza. Non so dire se siamo riusciti a farci promotori di questa legge come avremmo voluto, ma sta di fatto che dal Festival di Napoli nei giorni scorsi si è levato un grido che non può restare inascoltato, non può essere ignorato a Roma da chi di dovere. È il grido di disperazione di tanti, troppi, giornalisti giovani e meno giovani che vengono sistematicamente sfruttati dai propri editori. La necessità di dare ai giornalisti un compenso adeguato non riguarda solo i diretti interessati. Qui c’è in gioco molto di più, a partire dalla libertà di stampa e quindi dagli stessi principi della democrazia. Detto ciò, ci tengo a sottolineare che sarebbe un errore pensare che la legge sull’equo compenso sia la panacea di tutti i mali del giornalismo italiano. Fatta e approvata la legge, bisognerà battersi per farla applicare davvero e per evitare che faccia la fine della legge 150 del 2000, quella sugli uffici stampa, che quasi tutti gli enti pubblici continuano ad ignorare».
L’idea del Festival è stata concretizzata con fondi esigui, grazie a pochi sponsor, conoscenze, convenzioni e tanta caparbietà. Un messaggio più che positivo, da esportare. Cosa pensa al riguardo?
«Penso che la strada che ti trovi a dover percorrere se scegli di organizzare un così grande evento al Sud sia una strada lastricata da pezzetti di fegato. Si, ci rimetti proprio il fegato lungo il percorso. Hai una buona idea, elabori un progetto eccellente, lo presenti per ottenere riscontri positivi, ti aspetteresti il meritato sostegno, invece rimedi porte in faccia e perfino proposte indecenti. So che rischio l’accusa di aver fatto, come si suol dire, una “marchetta”, ma devo davvero ringraziare di cuore quegli sponsor e quelle istituzioni che hanno creduto in noi fin dal primo momento. Hanno scommesso su questo evento e, a giudicare dai risultati, direi proprio che hanno vinto».
Qual è il futuro degli Youth Media Days?
«Su una cosa non ho dubbi: il futuro degli Youth Media Days è a Napoli. La scelta di questa città come location della prima edizione italiana non è stata affatto casuale. L’ho detto tante altre volte: Napoli, con le sue stridenti contraddizioni, con le sue ineguagliabili bellezze che convivono con le più anguste miserie, è certamente la città che più di tutte rispecchia la realtà del “giornalismo giovane”. Quando guardi il golfo di Napoli dalla terrazza delle 13 discese a Posillipo, quando passeggi per il borgo marinaro, quando ammiri lo splendore delle sue Chiese e Cappelle, ti sembra che il Paradiso sia sceso in terra. Poi fai qualche metro, volti un angolo e ti ritrovi in un quartiere dove un ragazzino di 12 anni, durante l’orario scolastico, sfreccia in moto con altri tre coetanei a bordo, magari perchè sta facendo da corriere per i trafficanti di droga. La realtà dei giovani giornalisti è così: fai bene il tuo lavoro, il lavoro che sognavi da sempre, fai uno scoop che finisce in prima pagina, ne fai un altro, ma continui ad essere pagato due euro ad articolo, sei senza alcuna tutela e magari, per quello stesso scoop, ti becchi una querela dal potente di turno che può permettersi avvocati che tu non puoi permetterti, il tuo editore se ne lava le mani e ti condannano anche al risarcimento di decine di migliaia di euro. Se tutto va bene… Perchè se ti va male, sempre per due euro ad articolo, puoi anche finire ammazzato».
Questo Festival rappresenta un successo anche per Youth Press Italia?
«Non direi che questo straordinario evento sia stato un successo “anche” per Youth Press Italia. Direi piuttosto che è stato un successo “tutto” di Youth Press Italia. Anche se l’idea è partita da me più di un anno fa, l’ho condivisa fin dal primo momento con i miei amici e colleghi dell’associazione, a partire da altri membri del consiglio direttivo, ma non solo. Il resto è stato frutto di un lavoro di squadra. Non lo dico per falsa modestia, ma per rendere onore al vero e al merito del gruppo che ha contribuito a questo successo inizialmente insperato. Parlo di Carmen Cretoso, Barbara Gravina, Simone d’Antonio, Ludovica Della Volpe, Flavia Palazzi, Paola Imperatore, Irene Fazio, Chiara Baldi e altri ancora. Alcuni di loro hanno perfino rinunciato alle vacanze estive per restare in città a lavorare con me, sotto il sole di agosto. Molti di loro non si sono tirati indietro di fronte a nulla: mentre elaboravamo le strategie di comunicazione e organizzavamo le conferenze stampa, i dibattiti, le visite agli atelier creativi della città, allo stesso tempo macinavamo chilometri in giro per la Campania alla ricerca di sponsor, curavamo il catering, allestivamo le sale, caricavamo e scaricavamo con le nostre braccia materiale tipografico e di cancelleria, decine di casse di bibite e quant’altro potesse servire alla buona riuscita dell’evento. Anche se il nostro lavoro quotidiano ci porta ad avere più familiarità con penne, taccuini e microfoni, che con carrelli elevatori e pesanti scatoloni da portare in spalla, non abbiamo fatto gli schizzinosi. Insomma, ci siamo sporcati mani e piedi, affinchè il risultato finale fosse il migliore possibile con gli scarsi mezzi economici a disposizione. Del resto, come avrebbe detto Don Milani, a che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca?».