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THE LADY – L’AMORE PER LA LIBERTÀ

Autorizzazione all’emissione solo di banconote che siano multipli di nove. È questa una delle decisioni assunte dal leader birmano sul finire degli anni ottanta e che Aung San Suu Kyi apprende appena tornata in patria. Un provvedimento che rileva la durezza di una battaglia, quella per la libertà, quando è combattuta contro la follia di un tiranno che subordina all’esoterismo, al verdetto delle carte, alla numerologia il destino della propria nazione. Ed è questo intento ad ispirare la penna di Rebecca Frayn, l’interpretazione di Michelle Yeoh e la regia di Luc Besson, che porta sul grande schermo gli anni più duri dell’orchidea d’acciaio, quelli che vanno dal 1988 (quando torna in Birmania per accudire la madre malata) al 1999 (anno della morte del marito, Michael Aris). Anni in cui la fondatrice e leader della Lega Nazionale per la Democrazia depone famiglia, affetti e libertà personale sull’altare dei diritti umani, civili e politici.

In questa prospettiva The Lady si conclude proprio con la morte dell’adorato “Mikey” (un ottimo David Thewlis), a Londra, in ospedale, assistito solo dai propri figli.

Lo spessore storico-documentaristico del film non è in discussione, ma dall’inizio alla fine si avverte quel “qualcosa che non torna” tipico del punto di vista dello spettatore e che può essere tradotto nella mancanza di coinvolgimento emotivo: The Lady non appassiona – a dispetto delle previsioni esplicite del regista e di un biopic che fornirebbe molte occasioni in tal senso – e men che meno commuove. È un’amara constatazione e lo è ancor più se si considera che l’obiettivo, come si è detto, era raccontare un decennio di vita del premio Nobel per la pace privilegiandone la dimensione privata. Si è però tentatati di dire “riducendolo” alla dimensione privata, fino a lasciare, a tratti, che Mikey rubi la scena a Suu.

Il giudizio non può piegarsi alla rilevanza della vicenda trattata: Besson delude.

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