L’allegria
di Gennaro Matino
EDB
Bologna 2018
pp. 100
euro 8,00
È un volume agile quello di Gennaro Matino, L’allegria (EDB, Bologna 2018, pp. 100, euro 8,00), tanto che si tiene facilmente in tasca, quasi un vademecum, o meglio una bussola per orientarsi nella “vitalità” del cristianesimo, molto spesso spenta e atrofizzata, quasi mortificata dalla “paura” della gioia, ovvero dell’allegria evangelica. È questa la tesi di fondo del libro pubblicato circa quattro anni fa del teologo Gennaro Matino convinto della necessità, o meglio dell’urgenza di rinnovare non solo i codici comunicativi verbali e non del cattolicesimo, ma auspica anche una radicale revisione dei linguaggi, cioè dei contenuti della catechesi, della liturgia, della predicazione. Un passo necessario e determinante per il presente e il futuro della fede cristiana è quello di imparare nuovamente il kerygma, il coraggio dell’annuncio: il Dio cristiano è il Dio della gioia e della vita (p. 80).
L’annuncio della vita contrasta con il dilagare delle cattive notizie, con la diffusione sempre più massiccia di esperienze di misera e di abbandono, di povertà e di dolore, di morte e di devastazione. Se di vita si tratta, il cristianesimo, come già osservava Giacomo Leopardi, deve esonerarsi da qualsiasi forma di chiusura, rifiutando risolutamente atteggiamenti vittimistici, intimistici e perfino autolesionisti. In altri termini, in cristianesimo non può essere sinonimo di “paura”, né è la religione delle lacrime, o della tristezza. La fede in Cristo è in realtà una vera rivoluzione del cuore e come tale annuncia la vita, la resurrezione dai morti, la vita del mondo che ancora è attesa come compimento dell’Amore di Dio per l’intera creazione. «Se la descrizione dell’uomo sofferente e la denuncia del male non sono accompagnate dall’annuncio pasquale della gloria finale, della gioia e della pace, vana sarebbe la nostra fede (cf. 1Cor 15,14)» (pp. 81-82).
Per Matino è inconcepibile un cristianesimo ripiegato su se stesso, quasi religione “dell’infelicità necessaria”, chiusa al sicuro dei freddi marmi delle chiese, dei volti stereotipati delle statue dei santi inespressive di gioia evangelica, soggetti ricurvi nella propria sofferenza esibita come modello esclusivo di salvezza. Il cristianesimo non è la religione dei vinti, ma dei discepoli che sono stati amati nella gioia più sincera (cf. 11). Eppure evangelizzare è sinonimo di letizia e non di tristezza, scrive l’autore. Lo stesso mandato missionario è accompagnato dallo stesso sussulto di “Allegria” della Vergine Maria e del suo grembo e di quello di Elisabetta nel momento del loro incontro. In questa prospettiva, la stessa missione è uno slancio di Allegria, finalizzato a vivere l’esistenza in una dimensione della riconciliazione e della vita. La morte, dopo la resurrezione di Cristo, è nascita alla nuova vita e, nonostante la fatica per il distacco, il cristiano annuncia la gioia dell’incontro con il Redentore per chi lascia questa terra.
Per Matino, spesso il cristianesimo ha proibito il sorriso a vantaggio di una concezione cupa e fredda delle relazioni tra gli uomini, tra loro e con Dio, difendendo la “sacralità della morte” a scapito della vera sacralità, quella della vita (cf. pp. 11-57). Se si pensa al modo di stare insieme dei cattolici, al loro modo di pregare, di conversare si potrebbe correre il rischio di travisare il messaggio evangelico come fuga mundi ed avallare magari ancora una volta uno stile di vita ispirato all’ideale platonico, piuttosto che a quello insegnato e vissuto da Gesù. «Sarà un caso, ma spesso le nostre liturgie, le nostre assemblee, le nostre preghiere sono tristi, aperte più alla commiserazione, alla compiacenza del negativo, che alla formidabile vittoria del Risorto» (p. 20). Una prospettiva quindi che rasenta la depressione e coltiva la disperazione. Tale dimensione non è la fede cristiana, ribadisce l’autore. La fede cristiana è piuttosto ciò che riscalda con la gioia, «perché credo che in Dio ci sia allegria, serenità, pace» (p. 21).
Anche in questo momento così cruento, i discepoli del Nazareno esprimono Allegria, perché la morte è stata sconfitta dalla Vita. L’entusiasmo dei discepoli è ormai il motore unico che li porta, dopo la morte di Cristo e la discesa dello Spirito Santo, ad andare per il mondo a testimoniare con la vita e con le parole l’allegra notizia, risuonata in ogni momento della storia della salvezza e culminata nell’annuncio alla Vergine ragazza di Nazareth: rallegrati! Essi non sono più pavidi fuggiaschi, ma coraggiosi testimoni della speranza, ricolmi della gioia della vita che li spinge a non lasciare più ormeggiare le loro barche, ma finalmente prendono il largo del mondo per portare a tutti la rivoluzione della gioia, realizzata con l’incarnazione di Dio in Gesù di Nazareth, il figlio di Giuseppe e di Maria. Infatti, «la vera rivoluzione, nata dalla croce-resurrezione di Cristo, è la strategia delle beatitudini, che si conquista con grade sacrificio e impegno, ma concreta, realizzabile e aperta a tutti» (p. 88).
L’incontro con Cristo genera una relazione “inaudita” e inaugura la novità di rapporti improntati su incontri generativi aperti alla festa, alla novità. Questa prospettiva supera ogni limitazione e chiusura oppressa dalla logica del lutto, spesso «strumentalizzazioni clerico-ideologiche» (p. 52), a vantaggio dell’operosità di Allegria, che è Cristo stesso. Egli si è incarnato per amore, solo per amore non costretto da niente e da nessuno, neanche dal peccato, ed è morto per la logica di oppressione e di devastazione degli esseri umani, vittime della tristezza del peccato di origine, ma non schiacciati sotto il suo peso. Ecco la redenzione operata da Allegria, che è armonia e vita. La resurrezione di Cristo infatti porta la storia ad essere operosa verso la parusia, la gioia dell’incontro redentivo. «Ritornare a parlare della speranza futura è l’unico impegno possibile per ridare alla morte il suo posto nella vita e per dare alla vita la verità del suo percorso. È rendere finalmente giustizia alla bellezza del creato e per un sorriso, un sorso di allegria, ricominciare il percorso dal verso giusto, sicuri che nella gioia e nel dolore il Signore è sempre con noi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20)» (p. 100).