Di fronte a questo mistero in quattro atti, scritto in varie stesure (quella che leggiamo è del 1910) dal grande scrittore francese Paul Claudel, si rimane toccati e allo stesso tempo scossi dalla profondità dell’umano, che si respira come un attracco a terra.
È la storia di un uomo, più che dello scrittore e di una conversione avvenuta nella notte di Natale del 1886, dopo aver udito il Magnificat, in quel sì che egli proclama deciso, che cambia la sua vita e la storia dell’umanità.
È un dramma mendicante che afferma la potenza vera dell’amore come generazione dell’umano nella totalità, nella storia e nel popolo, e allo stesso tempo, una lode per l’esistente.
La storia si snoda su tre figure principali: Pietro di Craon, Violaine e Anna Vercors, a questi si collegano Mara, Elisabetta e Giacomo, rispettivamente sorella, madre e fidanzato di Violaine.
Anna Vercors è la radice della famiglia, la sostiene, la educa, la vive, e allo stesso tempo mantiene un monastero di suore di clausura nella assoluta gratuità, ma capisce presto che il suo compito è offrire la sua vita per il bene del popolo e parte in pellegrinaggio in Terra Santa: tornerà alla fine del dramma. E poi c’è Violaine, che è un percorso di semplicità vivente, provvidenziale e feconda verso la verità. Vive una corrispondenza tra desiderio e la richiesta della vita (ama riamata Giacomo), ma ben presto avverte che la profondità dell’amore corrisposto di Giacomo è fallace, perché non riconosce l’essenza del suo essere in funzione della totalità, di qualcosa di più grande da stringere. Mara sorprende la sorella Violaine ad abbracciare il lebbroso Pietro di Craon, genio peccatore, costruttore di cattedrali, veri luoghi di speranze, simbolo dell’unità di popolo, espressione vera e autentica dell’io umano. Accetta le conseguenze del suo male e il suo bacio contamina la giovane che è costretta a cedere il fidanzato Giacomo a Mara e ad allontanarsi da casa. Mara e Giacomo hanno una figlia che muore e nel momento del dolore Mara torna da Violaine, ormai cieca e ridotta allo stremo, poiché sa che può domandare tutto a Dio. Sgorga dal seno una stilla di latte e la piccola nelle braccia di Violaine rivive come una nostalgia di Assoluto e passa vergine e pura sull’orizzonte ceruleo del sacrificio. Mara è gelosa perché la creatura assume il colore degli occhi della sorella e decide di uccidere Violaine, spingendola sotto un carro di ghiaia. Pietro di Craon raccoglie il suo corpo morente e lo porta nella casa di famiglia della giovane. Ricompare anche il padre Anna Vercors che scoprendo l’accaduto, afferma la verità di questa storia: “La pace, chi la conosce, sa che la gioia e il dolore in parti uguali la compongono.(…) Forse che fine della vita è vivere? (…) Non vivere, ma morire (…) e dare in letizia ciò che abbiamo. Qui sta la gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna!” “E perché affannarsi tanto, quando è così semplice obbedire?”.
I personaggi di Claudel hanno la potenza di imprimersi su un orizzonte vasto che parte dalla vita e termina con la dimensione eterna. L’eterno che l’autore ci ha mostrato ha luoghi, volti, presenze gratuite e incarnate, che portano l’umanità di ogni individuo a misurarsi con il fascio di desideri e di attese che lo costituiscono. Non credeva a questo rapporto come a un incidente della propria umanità, ma ha inciso il suo nome nell’unica coniugazione possibile di Dio: il presente.
E questo, con un colpo non solo letterario, abbatte ogni scetticismo e riverbera sul lettore il senso di un’ansia lieve di compimento, una conoscenza e rinascita che avvertono la potenza del tempo e della storia. Come egli stesso diceva in una conferenza a Baltimora nel 1927:
“ Non si può capire una cosa, non si ha alcun mezzo per servirsene in modo adeguato, se non si capisce ciò che questa cosa è stata chiamata a fare e a significare, se non se ne capisce la posizione, nella comunione totale delle cose visibili e invisibili, se non se ne ha un’idea generale, se non se ne ha un’idea universale, se non se ne ha un’idea cattolica.
Certo anche senza un’idea generale della terra e del cielo si possono fare delle poesie molto graziose, si possono cesellare delicate opere d’arte, si possono mettere insieme dei gingilli curiosi e interessanti. Ma (…) anche per il semplice volo di una farfalla ci vuole il cielo intero. Non si può capire una margheritina nell’erba, se non si capisce il sole tra le stelle.”