<<I vincenti si riconoscono alla partenza >>. Non sempre – aggiungerei. Sebbene di tempo ne sia passato poco prima che il cinema Americano si accorgesse del capolavoro di Sergio Leone, C’era una volta in America non fu un film che ebbe immediatamente successo. 1984, una pellicola che trae spunto dal romanzo di Harry Grey – The Hoods, reinventato in una storia ancora più complessa e avvincente. Un’imperdibile sequenza di scene che sarebbe durata fino a un totale di quasi dieci ore, concretizzabile solo se attraverso un accordo per poterlo realizzare in una progressione di due o tre puntate televisive. Un tempo che metteva in forte e comprensibile discussione l’impatto che avrebbe avuto poi sul pubblico. Sarebbe arrivato quello desiderato? Spazzato via ogni dubbio da quel malinconico accordo con il produttore di realizzare una versione cinematografica, per così dire, mutilata. Di quei tredici anni di creazione, passati a idearlo, elaboralo, cancellarlo e ancora a riscriverlo, modificarlo, dedicargli ogni attento istante e accurato particolare. Di quel tempo, restano scene per tre ore e quaranta minuti, proiettate in quell’ordine cronologico che il gran regista non avrebbe voluto. Offuscate le sue tecniche di ideare maggior tensione emotiva, dei suoi faticati flash-back e flash-forward nessuna traccia: spariti, tagliati fuori, proprio come quei trentanove minuti di scene ingiustamente riposte nel cassetto dei ricordi, lo stesso delle cose ben fatte, dell’arte taciuta. Un’arte restaurata per concederci il privilegio di poter godere di ben sei blocchi di scene inedite, per un totale di ventisei minuti di pellicola aggiunta in lingua originale, mai vista prima d’ora. Tre i blocchi ambientati nel 1968: il dialogo tra Robert De Niro (Noodles) e la direttrice del cimitero (Louise Fletcher), il colloquio tra il senatore Max con il sindacalista e uno in cui Elizabeth McGovern recita il ruolo di Cleopatra a teatro. E tre i blocchi ambientati nel 1933: la sequenza muta in cui Noodles tiene il piede sull’acceleratore dell’auto fino a quando non supera il ponte e la lascia affondare, una scena d’amore a pagamento tra Noodles e Eve (Darlenne Fluegel) e un’ultima scena, un dialogo tra Noodles e il suo chauffeur, interpretato dal produttore Arnon Milchan.
Scene recuperate grazie alla preziosa collaborazione dei familiari di Sergio Leone e al restauro della Cineteca di Bologna finanziato dalla The film foundation di Martin Scorsese con il sostegno di Gucci. Uscita finalmente l’edizione director’s cut, espressione americana propria del linguaggio cinematografico che indica la supremazia della versione ideata dal regista su quella della produzione e distribuzione, senza cioè puntare all’aspetto economico, ma realizzando tutto per il gran gusto dell’arte e del bello. Sedere sulle più moderne poltrone e ammirare un film degli anni ’80, proiettato dai più tecnologici strumenti, è un’esperienza davvero magnifica. Peccato per chi se la sia persa. Nelle sale del cinema italiano, un capolavoro che ritorna. Per certi versi, o meglio, per certe scene, assolutamente inedito.