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Changeling

 “CHANGELING” di CLINT EASTWOOD; USA,08.

Los Angeles, 1928. Il piccolo Walter Collins viene rapito. La screditata e corrotta polizia della città dice di averlo ritrovato, ma la madre non lo riconosce e ingaggia un battaglia con la polizia, accanitasi contro di lei. Il vecchio leone ha fatto centro ancora una volta. Da “Mystic River” (03) in poi ci sta dando una serie quasi ininterrotta di bellissimi film, tra cui “Million dollars baby” (04) che gli ha fatto avere una cascata di Oscar. Qui è una storia vera tipicamente americana lo spunto di partenza. Coma al solito, il regista “sembra” partire esponendo un tradizionale  apologo sull’energia del true american, quella tipologia western dell’eroe solitario, in questo caso eroina, che combatte come un David contro il Golia ritenuto invincibile della polizia corrotta. E queste sono le tracce su cui c’inerpichiamo “appresso” al vecchio Clint: ci rendiamo conto invece che ci ha condotti in tutt’altra parte. Così la mamma non nasce come un’eroina: è solo una donna sola, semplice, ma non sprovveduta, che aveva fatto del figlio il suo centro esistenziale. E’ disperata, attanagliata dall’angoscia di non poter sapere che fine ha fatto suo figlio. Tutti i suoi comportamenti evolvono da questo dato. L’interpretazione che ne dà Angelina Jolie è perfetta, tutta interiorizzata: perfino il pianto sembra represso. L’atmosfera incombente sulla città è di plumbea costrizione: la pratica manicomiale contro i dissidenti non è solo dello stalinismo sovietico, ma è anche della patria della democrazia. Il regime poliziesco della città è supportato all’interno delle istituzioni che dovrebbero rispettare la Costituzione, ma nei fatti la stravolgono. La narrazione adotta uno stile classico, dalla grande visualità d’insieme e precisione storico-scenografica: abbondano i campi medi e lunghi, non solo negli esterni, ma anche negli interni collettivi, l’uso epico del Dolly (la macchina che guarda in movimento dall’alto) ecc. Tutti strumenti tecnici il cui uso, in chiave stilistica, presuppone un montaggio dai tempi non sincopati. Ciò fa sviluppare quelle riflessioni psicologiche che stanno soprattutto a cuore all’autore. Come ad esempio i capoccia e gli esecutori corrotti o il killer, nella sua caratterizzazione sospesa tra la follia infantile, la ferocia e la cattiveria. La donna, in particolare, dopo la vittoria, nel tempo ha un’evoluzione verso il convivere con la speranza e una nuova vita.

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