“CHERI” di STEPHEN FREARS; UK-GER-FRA,09.
Parigi, 1906. Léa, scafata, matura e ancora affascinante cocotte di alto livello, si prende la briga di dirozzare alla vita Chéri, figlio adolescente della sua collega. Tratto dai due romanzi, del 1920 e del ’26, molto trasgressivi di Colette, e in parte autobiografici (scritti alle soglie dei 50 anni), il film è la percezione profonda della crisi fisica di Léa, che si avvia alla vecchiaia. Questa è considerata all’interno dell’intenso rapporto amoroso col ragazzo. Lei ama, riamata. Il giovane ne coglie i limiti, ma non riesce a distaccarsene. La dialettica è molto viva ed è la forza del film, soprattutto quando è di scena Michelle Pfeiffer, la protagonista. La sua luminosa, eterea bellezza, così fuori dal tempo, ci accompagna in una dimensione sensibilissima, fatta di erotismo, languido e appassionato, ma che resta nel regno dell’impossibilità. Il regista e lo sceneggiatore Ch.Hampton immergono questa presa di coscienza nelle forme della commedia sofisticata – come nei duetti con la madre di Chéri, l’attrice Cathy Bates, inarrivabile in quel misto di sordidezza e sensibilità – ma che acquista lentamente spessore drammatico, via via che si conferisce sostanza alle implicazioni personali, ambientali. L’atmosfera del tempo è colta e quasi immobilizzata nella sontuosità scenografica.