COME DIO COMANDA di GABRIELE SALVATORES; ITA,08.
In una sperduta entità del Friuli vivono Cristiano e suo padre: costui è un po’ naziskin, un po’ antisociale, un po’ criminale: ma il legame tra i due è fortissimo. E sarà Cristiano a salvare il padre da una drammatica situazione. La cosa peggiore per un autore è sentirsi dire, dopo aver realizzato un conclamato capolavoro, “si ma questo non è…” E’ il caso di questo geniale regista napoletano, 5 anni dopo “Io non ho paura”. Anche questo frutto della collaborazione con lo scrittore Niccolò Ammanniti. Ancora una volta il regista ha mostrato il suo coraggio, la sua capacità di narratore morale, in grado di comunicare onde di emotività profonda, nel non restare prigioniero dei clichés. Il co-protagonista, che dovrebbe essere d’esempio al figlio, è un tipo che vive “negando” se stesso e il mondo attorno. Quando si presentano all’Assistente Sociale, un insospettatamente autoritario e ambiguo Fabio De Luigi, essi si presentano leccati e ben in ordine, come i bambini delle elementari ad una visita ispettiva. Ciò fa capire la loro ingenua estraneità al mondo di relazioni consolidate: essi sono nettamente “fuori” di quello squallore sociale che è la piccola borghesia affluente del posto in cui vivono. Cristiano è integralmente parte del mondo del padre; ne accetta, pur intuendone limiti e responsabilità, la grossolanità. Addirittura sarebbe stato disposto a coprirlo (ma non a giustificarlo), di fronte ad un odioso crimine che attribuiva, erroneamente, a lui. In realtà, nel figlio, è passato un fondo di umanità che, in modi sconnessi e irrisolti, era nel cuore confuso, ma generoso di Zena padre. Il rapporto “pedagogico” tra i due, tutto sommato, e fuori degli schemi tradizionali, è ricco e positivo: e ciò trova l’acme emotiva nell’ultimissima sequenza del sottofinale. Ma soprattutto ho trovato molto impressionante l’efficacia della scelta e dell’uso dello spazio visuale. Quella zona al centro di niente, un vecchio poligono militare dismesso, è un’area fantasma, raggelante nella sua vacuità e vastità; resa sporca e opprimente dall’immissione di materiali da risulta, caotici e inutili, tra cave e fiumi carsici. Spazio percorso, anzi intriso di piogge torrenziali, suggerisce un clima di coinvolgimenti personali di grande primitività: come ha detto il regista, è la natura che riprende la sua legge. Esso confligge con il disegno lineare degli spazi abitativi di case/villette basse, ricche, di strade lineari, pulite e ordinate dei territori immersi in un benessere materiale e in una luce grigia. Dal contrasto violento di queste due zone, pur conviventi, e in un clima di follia, portata dall’amico del padre, scaturisce la morte della ragazza.