È uscito ad agosto del 2012 il nuovo romanzo di Dacia Maraini L’amore rubato, a un anno dalla sua ultima fatica La grande festa. In una lingua arruffata e ruvida, affronta otto storie di donne violentate, colpite o uccise.
Sono pagine nere come lividi. Paesaggi d’anima e volti colpiti e deturpati, non solo dalla violenza, ma dal possesso estremo, dal cinismo e dalla bieca sopraffazione.
Donne come Francesca, tredicenne in mano a quattro suoi coetanei, Alessandra che decide di interrompere la sua gravidanza, sigillo di una violenza sessuale, Marina che non denuncia il marito che ogni giorno la colpisce e la umilia.
Ma non è solo un libro di denuncia. Quando la grazia e la bellezza non diventano fertilità di tempo, il possesso violento e l’umanità assente appaiono porte chiuse sulla dignità, sulla libertà e sul colore acceso di ogni persona.
Il ferimento, la morte, il colpo serrato sono la ferita più grave al compimento, che ha bisogno di una differenza per nutrirsi, far muovere l’universo, cogliere la particolarità che è nascosta in tutto ciò che sfiora la terra.
Le figure di donne, qui tracciate, rappresentano l’esito di un germoglio calpestato, di un sogno infranto e di un sorriso di amore rubato. Ma sono libertà che gridano, che svegliano gli occhi.
Dacia Maraini sceglie la testimonianza per toccare questi volti, senza enfasi o senza retorica, scomponendo il terribile volto di uomini che compiono questi gesti efferati e vili. Sembrano non possedere un’ anima, raggrumati nell’oscurità di un pensiero o di un gesto, anime rattrappite. Come il marito che nasconde, dietro un sorriso sardonico, la sua violenza, mentendo all’assistente sociale sulla pace che regna in casa, o la piccola Venezia, trasformata in diva, vittima di un bruto che finirà per ucciderla.
Non comprendere le ferite, il dolore, percorrere l’inerzia distratta, non saper vedere l’insostituibile mistero dell’altro: questo libro rintraccia una solitudine di angoli racchiusi, costretti, inermi.
Amore e morte sembrano camminare pericolosamente vicini, quasi attratti, come dice il Cantico dei Cantici:«L’amore è forte come la morte». Gli antichi Romani chiamavano ‘amor’ una forza che prende, attraversa e porta dove non si vorrebbe. Una forza che trascina, travolge e di cui l’uomo, spesso, è preda, capace, da un lato, di far riscoprire la nostra consistenza e, dall’altro, di devastare o di condurre in rovina.
Dietro il raptus violento, solo apparentemente improvviso, si nasconde un’infinita serie di scelte, spostamenti, decisioni che conducono a una disperazione furiosa e cieca.
La persona amata, pertanto, diventa un idolo, un’ossessione, una presenza eletta a simulacro del senso dell’esistenza. In questa idolatria si compie la prima strada per ogni forma di violenza, pronta a scatenarsi ogni volta che l’idolo si allontana dal suo posto.
Queste storie testimoniano il confine labile di questa forza. Il corpo femminile è l’indizio di uno sguardo che io pongo a me, che costringe a guardarmi, proprio perché in esso scopro ciò per cui io stesso sono fatto.
Dante lo comprese bene quando diede il nome Amore a una forza segreta che muove la realtà e l’universo. Comprendere cosa fosse l’amore era il senso del viaggio fino al fondo dell’essere, per scoprirsi, sfidando l’amore con l’amore. Poiché esso è dire tu alle labbra del mistero, un ‘così sia’, come le mani di Beatrice unite in un amen, affinchè il suo viaggio possa compiersi.
In questo gesto segreto, povero ed estremo, ripetuto nelle vaste cromature di ogni essere risiede la vera alternativa all’omicidio e alla violenza, coltivata in un giardino nero e sterile.
Ma è una parola da imparare ogni giorno, ad ogni sguardo, ad ogni incrocio, che reinventa la sua materia incandescente per toccare, intessere il ricamo degli occhi, la frontiera diseguale della diversità che popola il mondo e che diviene dolore e scintilla, gioia densa e limite inenarrabile.
Queste narrazioni non lasciano riposo agli occhi, ridestano la coscienza, colpiscono come un pugno.
Appaiono come taccuini all’orizzonte, abbracciano le vite per farle emergere, lontane dai colpi e dalle folate violente.
Sono le donne che rammagliano il mondo anche nelle prove più dure, quelle che patiscono maggiormente il sacro fuoco della loro natura acquea, che costituisce la speranza, la pazienza e la tenacia delle nostre cellule.
Per un intimo sorso di splendore lucente.
DACIA MARAINI
L’amore rubato
Rizzoli, 2012, pp. 204, euro 15