Everything Everywhere All at Once
di Martin Daniel Kwan e Daniel Schenert
USA 2022
140 minuti
Sette oscar: Miglior film, miglior attrice (Michelle Yeoh), migliori registi e migliore sceneggiatura originale (Daniel Kwan e Daniel Schenert), e poi miglior editing, miglior attrice non protagonista (Jamie Lee Curtis) e miglior attore non protagonista (Ke Huy Quan)sono un bottino difficilmente discutibile, per lo meno sull’unanimità che l’Academy ha manifestato quest’anno. Ma fu vera gloria? I pareri degli spettatori sono contrastanti e, come al solito, valgono anche molto i gusti personali. Per la parte profonda il film è, in fondo, una storia archetipica sul rapporto madre-figlia. Per la parte divertimento e Science Fiction gli appassionati potrebbero anche elevarlo a futuro film cult. Ma andiamo con ordine.
L’INCIPIT – Evelyn Quan Wang (Michelle Yeoh) è la protagonista, proprietaria di una lavanderia a gettoni in crisi, vessata dall’ufficio delle entrate, sull’orlo di una crisi di nervi anche per la prossima fine del proprio matrimonio e le scelte controcorrente della figlia Joy. Così queste dinamiche producono un cortocircuito che dà vita ad una visione distopica fatta da dimensioni parallele e sfalsate, il multiverso, abitato dalle versioni più disparate dei protagonisti, alcune in grado di suscitare una grande ilarità.
IL CUORE – Arti marziali cinesi (forse in eccesso), evocazione di altri film, Matrix in testa, ma anche di Indiana Jones attraverso uno dei personaggi che, bambino arrivato come boat people, la sera della cerimonia piangeva ringraziando il sogno americano. Ma il cuore del film, oltre alla possibilità che la vita offre con continue sliding doors, qui tradotte col multiverso, è la relazione madre-figlia. E’ l’amore che vince, è quel cordone ombelicale ineliminabile che lega le due figure, dai tempi greci ai giorni nostri. Anche quando le scelte che fanno le figlie (i figli) sono discutibili e fuori dall’ortodossia famigliare. I diversi personaggi della figlia nelle diverse dimensioni sono il centro, anche visivo, coloratissimo, di tutto il film.
SUGGESTIONI – Oltre ai film evocati, un paio vengono proprio citati letteralmente: Ratatouille, storpiandone il titolo e sostituendo il topo suggeritore con un procione nascosto nel cappello dello chef di turno, e 2001 Odissea nello spazio, con tanto di scimmie protagoniste. Ecco, in fondo il film fa venire voglia di rivedere alcuni classici della fantascienza cinematografica, quasi come antidoto ad una confusione visiva che, per quanto a volte divertente, non convince sempre. Ai posteri l’ardua e definitiva sentenza su un film che forse rischia di essere l’equivalente dei Jalisse a Sanremo, per Hollywood.