“GALANTUOMINI” di EDUARDO WINSPEARE; ITA,08.
In un paesino alle porte di Lecce, Ada, Ignazio e Fabio sono dei ragazzini amicissimi. Ognuno prenderà strade diverse. Ma si rincontreranno. Fabio è un tossico, Ada una malavitosa, Ignazio un Pubblico Ministero. Il regista, benché col cognome inglese, nato in Germania, dove ha studiato cinema dopo essersi laureato a Firenze, è profondamente legato al Salento, terra di Puglia che comprende più province. Lui, insieme ai suoi sceneggiatori, A.Piva e A.Valenti, ed altri ancora, rappresentano una vera e propria “Apulia wave”: un cinema che si nutre dell’attenzione estremamente mirata alle problematiche della loro terra. In questo film, in realtà ambientato negli anni 90, si parla, sotto le spoglie di una torrida storia di passioni, della Sacra Corona Unita, la “quarta” mafia, propria di quei territori e l’unica ad essere stata quasi del tutto sconfitta dallo Stato. Ma è un taglio di ricerca sociologica maturo, perché non si sovrappone allo sviluppo dei personaggi, anzi ne aiuta a precisare le dinamiche psicologiche. Pur in un qualche modo scritte fin dalla loro appartenenza sociale e familiare, le tensioni che si creano tra loro ne mutano radicalmente le linee attese. Lo scenario sociale interseca felicemente le vicende individuali, con guizzi di profonda e raffinata penetrazione chiaroscurale psicologica. La ragazza, divenuta un boss della “Sacra”, situazione anomala nelle altre mafie, ma in questa documentata più volte, mantiene sempre, insieme alla ferocia necessaria a restare al suo posto, anche un costante briciolo di umanità. Lo si vede sia nei rapporti col figlio, che in quella crisi di pianto, quando il suo gregario, la consola paternamente. Ma è la scelta dell’attrice Donatella Finocchiaro, premiata al Roma Fest 08, ad essere valida. La sua “stordente sensualità” (V.Caprara) la fa diventare anche indifesa, una specie di vittima predestinata della passione per Fabio, come si vede nel sottofinale. Questa passione, tenuta sottotraccia dalle convenzioni e dalle vicissitudini, finalmente può esplodere, lasciando i due dimentichi e come in balìa della passione stessa. Ma i destini riprendono i loro corsi. Siamo chiaramente dalle parti del grande Mélò americano e francese degli anni 30 e 40, perché l’atmosfera psicologica delle scelte è costruita con grande cura delle motivazioni e del loro lento ma ineluttabile dispiegarsi. La sceneggiatura è ottima. Il regista sa costruire, insieme al bravo direttore delle fotografia Paolo Carnera, il giusto paesaggio visivo. Anzi, la prolungata collaborazione tra i due fa in modo che ci sia come un trepido respiro cromatico su quelle terre e città, da loro conosciute e profondamente amate.