Nel Salone delle Carceri del Castel dell’Ovo di Napoli, “Gender roles, gender cages and surroundings” la personale di Paolo Valerio, a cura di Raffaele Loffredo, autore anche del testo critico che l’accompagna. La mostra, realizzata dalla Fondazione Genere Identità Cultura in collaborazione con la Fondazione Arti Napoli, prevede diverse installazioni e sculture dell’artista e, in occasione dell’inaugurazione, una live performance. Vernissage il 12 luglio alle ore 17.30 e prosieguo della mostra sino al 10 agosto con ingresso gratuito, nei seguenti orari: dal lunedì al venerdì dalle ore 9:00 alle ore 19:00, e la domenica dalle ore 9.00 alle ore 14.00.
Paolo Valerio, docente di psicologia clinica all’università Federico II, nonché presidente dell’ Osservatorio Nazionale Identità di Genere e della Fondazione Genere Identità Cultura, con la passione per la pittura.
Paolo Valerio, artista contemporaneo, la cui La creatività rappresenta, un processo che implica passaggi, salti, in cui collegandosi al mondo infantile del gioco, coglie l’esteticità dell’oggetto. Un insieme di corde, cime, oggetti di scarto, plastiche vengono assemblate in gabbie di reti cilindriche, le cui reti sono sinapsi, intese non a livello biologico, come connessioni tra neuroni, bensì come blocchi, difese, aree dell’inconscio, le vulnerabilità dell’io rispetto ai contesti. Scenario delle raffigurazioni è la zona flegrea di Lucrino, dove l’artista si reca nel fine settimana da alcuni anni per osservare gli oggetti che la natura marittima gli offre, su spiagge, anfratti, scogliere, fino a sceglierli, dandogli dignità attraverso le sue composizioni, dopo che il mare, tramite la sua azione corrosiva, ha già creato e modellato autonomamente le sue forme riappropriandosi del materiale. Non a caso, la salsedine, le conchiglie, le alghe che plasmano le forme, sono elementi ricorrenti di sculture che prendono forma nell’atto fisico della produzione, una pratica consolidata come condizione necessaria del suo essere. L’artista napoletano recupera, decontestualizza le sue reti, che però sottintendono un corto circuito visivo, rappresentando gabbie di genere: il gender, l’intersessualità sono tra i temi principali della sua ricerca universitaria da diversi anni; sono prigioni dalle quali ciascuno dovrebbe liberarsi, specchio di una cultura profondamente binaria.
Differenza e non diversità, come risorsa da valorizzare, l’arte di Paolo Valerio rappresenta un pretesto per riflessioni su suoi vissuti eterogenei, momenti della vita, come se avesse un filtro naturale che non gli consente di vedere il brutto della monnezza, trova la sua soggettività nell’opera esattamente come in una poesia dove concepisce ogni fune, ogni oggetto come una lettera.
“La mia attività – afferma l’artista – mi permette di contattare pensieri impensabili dedicando tempo a me stesso ed al gioco, una parte di me bambino, un atto puerile che lascia una traccia e mi induce a pensare e non soltanto fare (non il fare per non pensare)”. Valerio dunque si mette in contatto con i suoi blocchi, le sue aree di “interior junk”, non da buttare ma anche da amare in quanto facenti parte di lui; il contenitore è la sua casa ma l’opera proviene dalla natura, sovente infatti va alla ricerca di luoghi in solitudine per assemblare, sciogliere i nodi per poi riassemblarli, tagliare quelli troppo insolubili che spesso come nella vita è meglio interrompere, con la costante consapevolezza che il modo in cui un soggetto esprime l’amore non è mai il modo in cui l’altro desidera essere amato.
Contaminazione tra arte e psichiatria, contrasto tra arte e lavoro scientifico, volontà di rimettersi in gioco con un vocabolario plastico differente. Tutto questo è “Gender roles, gender cages and surroundings, una mostra di piena estate, di tanta curiosità ed interesse, da raccontare, ma ancor più, da andare a visitare.