Nel corso della catechesi di questo mercoledì il Papa ha presentato la figura del monaco eremita Pier Damiani vissuto nel secolo XI, nato a Ravenna e morto a Faenza, amante della solitudine e intrepido uomo di Chiesa. Dotato di una solida cultura, impegnato nell’insegnamento, per la conoscenza dei grandi classici latini divenne “uno dei migliori latinisti del suo tempo, uno dei più grandi scrittori del medioevo latino.” La sua sensibilità per la bellezza – ha detto Papa Benedetto – che lo portava alla contemplazione del mondo “lo spinse a staccarsi progressivamente dal mondo e dalle sue realtà effimere, per ritirarsi nel monastero di Fonte Avellana, fondato solo qualche decennio prima, ma già famoso per la sua austerità.”
Per i suoi monaci Pier Damiani scrisse la Vita del fondatore, san Romualdo di Ravenna, e s’impegnò al tempo stesso ad approfondirne la spiritualità, esponendo il suo ideale del monachesimo eremitico.
Fu un innamorato, più di tutti gli altri, del mistero cristiano della Croce che gli farà affermare: “Non ama Cristo chi non ama la croce di Cristo” e si qualificava “Petrus crucis Christi servorum famulus, Pietro servitore dei servitori della Croce di Cristo.
L’esempio di san Pier Damiani – ha detto Benedetto XVI –spinga anche noi a guardare sempre alla Croce come al supremo atto di amore di Dio nei confronti dell’uomo, che ci ha donato la salvezza.
Per lo svolgimento della vita eremitica scrisse una Regola che sottolinea il valore del silenzio, della preghiera e del digiuno.
“Nello studio e nella meditazione quotidiana della Sacra Scrittura, Pier Damiani scopre i mistici significati della parola di Dio, trovando in essa nutrimento per la sua vita spirituale. In questo senso egli qualifica la cella dell’eremo come “parlatorio dove Dio conversa con gli uomini”. La vita eremitica è per lui il vertice della vita cristiana, è “al culmine degli stati di vita”, perché il monaco, ormai libero dai legami del mondo e del proprio io, riceve “la caparra dello Spirito Santo e la sua anima si unisce felice allo Sposo celeste”. Questo risulta importante oggi pure per noi – ha detto il Papa – anche se non siamo monaci: saper fare silenzio in noi per ascoltare la voce di Dio, cercare, per così dire un “parlatorio” dove Dio parla con noi: Apprendere la Parola di Dio nella preghiera e nella meditazione è la strada della vita.
San Pier Damiani fu anche un fine teologo: espose, infatti, con chiarezza la dottrina trinitaria utilizzando i tre termini fondamentali processio, relatio e persona che sono poi divenuti determinanti anche per la filosofia dell’occidente. Tuttavia, poiché l’analisi teologica del mistero lo conduce a contemplare la vita intima di Dio e il dialogo d’amore ineffabile tra le tre divine Persone, egli ne trae conclusioni ascetiche per la vita in comunità e per gli stessi rapporti tra cristiani latini e greci, divisi su questo tema. Pure la meditazione sulla figura di Cristo – ha ricordato il Papa – ha riflessi pratici significativi, essendo tutta la Scrittura centrata su di Lui. “Cristo pertanto – aggiunge san Pier Damiani – deve essere al centro della vita del monaco: “Cristo sia udito nella nostra lingua, Cristo sia veduto nella nostra vita, sia percepito nel nostro cuore”. L’intima unione con Cristo impegna non solo i monaci, ma tutti i battezzati. Troviamo qui - ha sottolineato Benedetto XVI – un forte richiamo anche per noi a non lasciarci assorbire totalmente dalle attività, dai problemi e dalle preoccupazioni di ogni giorno, dimenticandoci che Gesù deve essere veramente al centro della nostra vita.
Tuttavia ad un certo punto della sua vita monastica, nominato Cardinale e Vescovo di Ostia, Pier Damiani, il monaco innamorato del suo eremo, dei silenzi e delle contemplazioni, è costretto ad ritornare in prima linea, intrepido uomo di Chiesa, per impegnarsi in prima persona nell’opera di riforma avviata dai Papi del tempo. A spingerlo fuori dal monastero sono le sue stesse denunce contro la “corruzione” di quei vescovi e di quegli abati che – ha affermato il Papa – “si comportavano da governatori dei propri sudditi più che da pastori d’anime”. Ma la missione attiva sui fronti della Chiesa di quel periodo non attenua il vigore di quell’ormai anziano “ultimo servo dei monaci” che ottiene dal Papa, dopo dieci anni, di poter ritornare da monaco al suo eremo di Fonte Avellana e sulla via del ritorno si ammala e muore a Faenza. E seppure, ha concluso Benedetto XVI, Pier Damiani visse la sua vocazione con “forme di austerità che oggi potrebbero sembrarci eccessive”, tuttavia “Egli ha fatto della vita monastica una testimonianza eloquente del primato di Dio e un richiamo per tutti a camminare verso la santità, liberi da ogni compromesso col male.”