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“Hellboy. The Golden Army” di Guillermo Del Toro

Questa volta il mezzo diavolaccio Hellboy & soci dell’Ufficio per Ricerca e la Difesa del Paranormale (BPRD), una branca anomala dei Servizi, devono vedersela con il principe Nuada, elfo che vuole risvegliare l’invincibile Armata d’Oro contro gli umani. Anche questo film è tratto da un graphic novel di Mike Magnolia, grande disegnatore e sceneggiatore di fumetti, qui anche produttore. Siamo al secondo episodio: il primo è del 2004. Tutti e due scritti e diretti dallo stesso regista. Il secondo è di gran lunga più bello del primo. Non solo c’è ironia, ma una sorta di simpatia travolgente per questo diavolone che non vuole restare clandestino, a cui piacciono i sigari cubani, l’amore, fare casini e mette in crisi questo strambo settore dei Servizi. A fare da contrappunto a lui vi sono altri personaggi: tutti oltre-umani per capacità, ma anche per fattezze, decisamente aliene, come l’”infiammabile” fidanzata Liz o l’acquatico ma saggissimo e sensibile Abe o la new entry, l’originalissimo essere di pura essenza gassosa, che parla con uno strano accento simil tedesco alla Peter Sellers del “Dottor Stranamore”. Però non hanno niente della compostezza e della leccosa positività degli X-Men o dei Fantastici 4 della Marvel, a cui si richiamano. Infatti sono di una casa editrice diversa, la Dark Horse Comics, minore ma più raffinata. L’esibizione della differenza e dei conflitti dalla sua non accettazione è più marcatamente grottesca. Ed è tale, con riuscite punte di farsa, l’adoperarsi delle istituzioni statali, demandate a gestire questo composito arsenale umano. In ciò il film ricorda “Men in Black”. Così anche i cattivi hanno un complesso di motivazioni, di tratti psicologici, come anche di originali caratteristiche fisiche, sia individuali che collettivi, che li differenzia in modi molto vivaci. Tra tutti emerge la coppia dei gemelli Nuada/Nuala. La Principessa ha un misterioso e perfino ambiguo rapporto simbiotico col complesso fratello ribelle e patricida, mentre lei sembra nutrire un delicato, indecifrabile affetto per Abe, la cui gentilezza l’ha conquistata. Tutto procede per notazioni sintetiche, ma accurate,  in un caotico-ordinato scorrere di azione, in una specie di Multiverso che qui convive, dall’efficacia visionaria che non viene mai meno. In questo il regista messicano dà il meglio di sé. Le invenzioni sono continue, potentissime, talune impressionanti. Altre invece sono delicate: alcune sono citazioni da “Guerre Stellari”, altre da “La Compagnia dell’Anello”. Ma sono spunti che il regista manipola con magnifica genialità, in un ritmo che comprime, scoppia di vitalità e anarchia “organizzata”.  

 

 

 



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