Per i bambini la dimensione ludica è importantissima, fondamentale quasi. Giocando, possono imparare tante cose utili, aguzzare le facoltà intellettive e artistiche, accrescere la creatività. Sin dall’antichità i più piccoli si sono cimentati nelle attività più disparate: le bambine greche amavano le bambole, mentre i maschietti giocavano con la palla, l’arco e il cerchio. I romani piccoli, in tenera età, prediligevano “Par imparar” (Pari o Dispari), ‘Caput et navis’ (Testa o croce), il tiro al bersaglio, moscacieca, i birilli, il nascondino, o la corda. Nel Medioevo sia i giochi degli adulti che quelli dei bambini venivano osteggiati e visti come attività pericolose. Si dovrà attendere la fine del Quattrocento per un atteggiamento più tollerante verso il gioco. Nel Settecento ritroviamo vari tentativi di collegare la scuola al gioco, la cultura degli adulti a quella dei bambini. Con l’avvento della società industriale anche il modo di divertirsi comincia a cambiare, non più giochi e giocattoli auto-costruiti con regole auto-elaborate, ma giocattoli prefabbricati, fino ad arrivare ai nostri giochi di ruolo.
A Città della Scienza da sabato 28 maggio a lunedì 30 ci sarà una mostra interattiva sul gioco presentata dall’archeologa Anna Abate con la collaborazione del Gruppo Archeologico dei Campi Flegrei e di Gaetano Bellucci e Silvana Cristofoli di “Giocando nel Tempo”. Verranno presi in esame quei siti archeologici che offrono importanti indizi sulla storia dei giochi da tavolo, con particolare attenzione riservata all’antico Egitto.