James Laughlin (1914-1977) ha abitato in modo apparentemente defilato la scena poetica e culturale americana del Novecento. Ma nello stesso tempo ha fondato e diretto, per mezzo secolo, una delle case editrici più importanti e decisive, la New Directions, a New York nel 1936, dando pagina a Ferlinghetti, Corso, William Carlos Williams, Dylan Thomas, Ezra Pound, Tennessee Williams e Nabokov, per non parlare dei nostri Vittorini e Montale, solo per citarne alcuni. Un respiro nella pagina e di pagine, dunque.
Ma un respiro che ha scoperto il fiuto imprenditoriale e manageriale, derivato da un’oculata visione economica, derivata e sperimentata dalle acciaierie di famiglia a Pittsburgh e nelle strutture alberghiere dello Utah, dove sfuggiva agli improperi dei suoi autori, ma non alla sua passione da sciatore. Ha conosciuto il bordo, per essere centro.
Lontano dal rigorismo accademico e ancorato al modernismo, ma espertissimo e finissimo traduttore, Laughlin ha pubblicato prose, saggi e componimenti che, via via sempre più ampi, hanno assaggiato la sperimentalità, come approdo e fulcro di immagine.
La sua poesia raggiunge la dimensione decisa e segreta di un piccolo quadro, che non solo riesce a mantenere una proporzione nella digitazione dattiloscritta, ma percepisce la meta di un saltello di prosa, di una spezzatura di verso, in cui la punteggiatura abbraccia la vertigine del quotidiano, con le sue fratture, i suoi parlati, la sua dialogicità immediata.
Quadro di memoria che smalta le strade degli States, ma cerca le vie secondarie, laddove il colloquio con la realtà dimora nei suoi itinerari, nelle sue impronte silenti.
La scrittura di Laughlin è un salto nella frattura e nella gabbia. Dagli anni della tragedia bellica fino alla maturità, egli propone il foglio racchiuso nella funzionalità discorsiva, che fa dell’episodio un disegno vissuto, una coltre sottile di dettaglio.
La sua segmentazione è una sorpresa che sale agli occhi, precisa ritratti, offre curiosità improvvise, proprio perché la vasta e dura materia del reale ha lasciato linee di percezione impressa.
È nel dettaglio che si ritrova la purità di una lingua che si mescola al dolore asciutto della perdita – come il suicidio del figlio Michael descritto in Experience of Blood-, che sosta nei classici (Marziale e Catullo) e nella secchezza dell’epigramma, per mostrare la sua ribellione e il suo canto tragico, come acutamente ha sottolineato Enzo Siciliano definendolo il “Catullo d’America”.
Il violento paradosso tra lirica e ironia sono il sentiero di una personalità che affina e oggettiva memoria e profanazione, passione e nostalgia.
Le sue scorciatoie, i viottoli della sua immagine caratterizzano l’intenzionalità parallela della mano sul foglio e anche l’espressione di una crisi, a cui egli cerca di porre rimedio e di tentare un piano di fuga, in cui sperimentare la forza onirica, la sua zona vitale, la sua cartina al tornasole.
L’attenzione alle bizzarrie umane dei suoi personaggi, le sue frequentazioni con scrittori e amici importanti, la passionalità dei suoi deserti in fiore convocano piani surreali, apologhi, prose tagliate.
La tensione erotica e sessuale è una reazione non solo contro il puritanesimo e ipocrita di un retroterra che ha ingabbiato pulsioni e affermazioni, ma è scoperta di invenzione e ricordo, attrazione e novità, che emergono in un quadro lugubre di squallore.
Gli incontri amorosi sono l’aggettivazione del mondo, lo spazio vergine di una vita vissuta: «quando le guardi / se vorranno o no // pensavo sempre che gli / zigomi alti fossero un’in-// dicazione finchè non passai del / tempo nel bacino carbonifero // della Slesia meglio non cor-/ rere troppo aspetta un palmo // caldo e un occhio bagnato / aspetta le dita striscianti.».
I luoghi amorosi, in Laughlin, dalle auto parcheggiate alle ragazze di Harlem che raccolgono banconote, fino alle notti con una ballerina di varietà, perseguono uno spazio franco, un momento di verità che disegna episodi e accosta esperienze, senza falsificarle, senza camuffarle: «pianse tornerai per me / volevo svignarmela / ma lei scoprì l’ora / del treno ed era lì// nello scompartimento con indosso / l’abito migliore e il foulard / milanese che le avevo dato/ tornerai amor mio tornerai // e mi porterai in America / piangendo e premendo le mie / mani sul suo petto la mia / faccia bagnata dalle sue lacrime».
La frequentazione con Ezra Pound a Rapallo – che sarà presente in In Another Country- ha la lucidità di un ricordo che soggiace all’intensità di una scena tenera, di un transito di luce, come una cornice emersa: «E Goethe si vanta di aver / tamburellato i suoi esametri // sulla schiena della sua ragazza/ romana mentre dormiva»..
Scrive acutamente Massimo Bacigalupo, a cui si deve l’ultima importante antologia di testi di Laughlin: “La grande capacità di Laughlin di ricreare un mondo dall’interno, con la spontaneità del ricordo o della conversazione, e di toccare momenti di imprevista contenuta commozione, è non meno evidente in questa prosa che nei suoi testi poetici (…) Hayden Carruth ha sottolineato il carattere plurilinguistico di questo e tanti altri testi, cioè quanto finemente Laughlin integri nel suo inglese americano, scioltissimo e pastoso, l’italiano della sua amichetta Leontina, per non dire del francese in cui ha scritto molte notevoli poesie”.
«circa quarant’anni fa là sul tuo / ermo colle sui contrafforti dietro // Recanati con la siepe che esclude/ la vista dell’orizzonte mi istru- // isti in morale e parlammo dei/ grandi morti Plotino e Copernico/ e altri ancora poi venne un terzo che / voleva unirsi a noi lo accogliemmo// prontamente poiché parlava di amore / e desiderio e di un uomo che divenne una // città moltoi conversammo insieme in / sogno nel corso di molte notti ma alla // fine pensammo solo al nulla / l’infinito nulla parlando del / naufragar in questo mare del dolce / affondare sotto le grandi cascate/ del fiume del naufragare nell’ a-/ more oltre ogni terrestre amore».
L’occasione dell’amore è la sua lunga serie di sogni, quando la stessa terra del sogno si fa toccare dai risvegli e dall’immensità sfarzosa e dura delle cose.