In tema con le ultime modifiche relative all’immigrazione (vedi abolizione del crimine di clandestinità) e con i cambiamenti storici rispetto all’omosessualità (approvazione del matrimonio gay in diversi paesi dell’UE) e le rispettive opposizioni dalle diverse parti, una riflessione sulla xenofobia (paura del diverso) -la quale può assumere le declinazioni di razzismo ed omofobia, ma non solo- è utile per comprendere da dove provenga tanta intolleranza. A tal proposito, ritorna molto utile un modello esplicativo che spesso viene utilizzato dai motivatori e dai coach di crescita personale per spingere le persone a raggiungere i propri obiettivi superando i propri limiti: il modello della comfort zone.
La comfort zone è come una zona in cui amiamo stare per il senso di sicurezza che è capace di offrire e che è recintata dalle nostre doverizzazioni, regole più o meno rigide su cosa si può fare e cosa non si può fare e che ci impediscono, dunque, di aprirci a nuove esperienze, anche solo a livello concettuale -senza che questo implichi necessariamente un personale coinvolgimento. Doverizzazioni come “Persone dello stesso sesso non devono stare insieme”, “Persone di etnie diverse non possono condividere niente”, “Non si devono fare esperienze sessuali inusuali, come travestirsi” e così via… stabiliscono il limite della nostra tolleranza al diverso, aldilà del quale, in realtà, vi è una paura più o meno intensa che ci spinge a regredire sempre più nella nostra comfort zone. Purtroppo la comfort zone e le emozioni che vi si associano -piacevole sicurezza all’interno della comfort zone e paura all’esterno della comfort zone- è utile alle istituzioni, come la Chiesa, lo Stato, la scuola e la famiglia, che utilizzano spesso il “terrorismo psicologico” per limitare l’apertura al nuovo ed impedire, spesso, la diversità che, probabilmente, è meno controllabile. Dunque chiediamoci: da dove vengono le doverizzazioni che mi impediscono di aprirmi al diverso? Sono d’accordo veramente con esse o semplicemente sto “seguendo la massa”? Fare questo tipo di riflessioni, -che siano profonde davvero però!- è uno dei primi modi per uscire dalla comfort zone. Buon esplorazione!
(Per approfondimenti, vedi Yerkes, R., and Dodson, J. ‘The Dancing Mouse, A Study in Animal Behavior’, 1907, Journal of Comparative Neurology & Psychology, Number 18, pp. 459-482)