Una delle tante tradizioni napoletane, in uso fino agli anni ’60, era quella di “adottare” un teschio che aveva dimora nel cimitero delle Fontanelle. Questo, infatti, era un ossario, situato nella zona della Sanità, in cui furono raccolti, nel corso dei secoli, migliaia di cadaveri. Il massimo affollamento di corpi fu raggiunto durante la peste del 1600. Gli unici cadaveri riconosciuti furono quelli di Filippo Carafa, conte di Cerreto, e sua moglie. L’ossario era uno dei luoghi più inquietanti della città. Nel culto dei morti che vi erano sepolti, la religione si mischiava con la superstizione e la credenza pagana, portando così la chiesa a pronunciarsi contro l’uso di adottare questi crani. Il cimitero è composto da gallerie lunghe ed ampie nelle quali i cadaveri aumentavano sempre più, perché erano inseriti anche i resti dei corpi ritrovati durante scavi archeologici. Voci dicono che un monaco contò fino ad otto milioni di cadaveri. Tornando all’adozione dei teschi, bisogna dire che alla maggior parte dei resti umani raccolti nell’ossario non corrisonde un nome. La gente del popolo si prendeva cura dei loro resti costruendo per loro, a seconda delle diverse disponibilità economiche, dei veri e propri tempietti in cui riporli, anche per protezione. Tali costruzioni potevano essere in marmo o in legno, ma queso era poco importante. Ciò che in realtà contava era avere cura delle anime dei defunti, così che dal Purgatorio potessero arrivare in Paradiso liberandosi. Una ricompensa era data a coloro che se ne prendevano cura, una sorta di “favori dall’oltretomba”. La maggior parte delle persone decidevano di curare resti umani per un sogno fatto o soltanto per guadagnarsi un posto in Paradiso. Oggi purtroppo non è facilissimo accedere all’ossario: le visite sono consentite soltanto durante il maggio dei monumenti. Quindi il lettore interessato a conoscerlo dovrà pazientare ancora qualche mese.