Una caratteristica distintiva delle società occidentali dei nostri tempi è la frenesia: tante cose da fare e tanti canali attraverso cui queste tante cose ci vengono comunicate.
Alcuni ipotizzano che il multitasking sia una conseguenza adattativa alla velocità dei nostri tempi e che, dunque, risulti funzionale ad una maggiore e migliore produttività. Una delle prime ricerche sull’argomento, condotta all’Università di Stanford nel 2009 e seguita da molte altre, ha dimostrato, al contrario, che il multitasking non funziona.
Passare da una attività all’altra richiede, infatti, un certo tempo di aggiustamento ed ogni volta che si cambia attività, il cervello deve rifocalizzare l’attenzione sull’oggetto, generando un dispendio di energia e tempo, che, dopo una giornata di lavoro, si traduce in stanchezza ed inconcludenza.
Conseguenza della stanchezza così generata è l’aumento degli errori: le nostre capacità di attenzione e di concentrazione vengono continuamente minate dalle continue interruzioni, rendendoci via via sempre meno attenti e concentrati. Il risultato è una maggiore superficialità durante il lavoro.
Zheng Wang, una ricercatrice dell’università dell’Ohio, in seguito a suoi studi che, come gli altri, hanno confermato un aumento di stress, di errori, ansia e depressione correlati al multitasking, si è chiesta come mai, allora, le persone continuano ad utilizzarlo. Per rispondere ha studiato il comportamento di 32 giovani, ed ha osservato che i soggetti tendevano ad adottare il multitasking tanto più quanto erano impegnati in compiti gravosi.
Secondo Zheng Wang, le persone credono che il multitasking li renda più produttivi, poiché, in realtà, interpretano in modo sbagliato i sentimenti positivi generati dalla temporanea distrazione dal compito e dalla soddisfazione derivante dalla percezione di star facendo più cose contemporaneamente.
Zheng Wang, John M. Tchernev. The “Myth” of Media Multitasking: Reciprocal Dynamics of Media Multitasking, Personal Needs, and Gratifications. Journal of Communication, 2012; DOI: 10.1111/j.1460-2466.2012.01641.x