“IL NASTRO BIANCO” di MICHAEL HANEKE; ITA-FRA-GER-AUSTRIA; 09. Germania, vigilia della I Guerra: in una comunità agricola apparentemente serena e ligia alle tradizioni, succedono episodi misteriosi in un crescendo di violenza. Palma D’Oro a Cannes 09, è un’opera costruita con un rigore visuale austero. Il suo bianco e nero (che in realtà è un colore “desaturato”), richiama con decisione un clima culturale, più che una scenografia, di carattere religioso. E’ un protestantesimo rigido, freddo, che solo nella sua sadica e crudele esteriorità si rifà a Dreyer: per il resto è una componente intimamente violenta di educazione di massa all’ipocrisia e alla dissimulazione. Pur non essendo un film horror, ma un’opera di forte impianto civile e storico, costruisce entro il suo spazio vitale, un’atmosfera sospesa di orrore e di paura. E lo fa senza eccedere minimamente in enfasi, solo narrando la piana linearità dei fatti, ma lasciando chiare tracce di tutte le congetture realisticamente ipotizzabili. Così, sembra dire il regista, si sono educati alla crudeltà collettiva quei ragazzini, in realtà vittime e poi carnefici, prossimi nazisti. Essi stanno infatti attraversando il tunnel della I Guerra Mondiale, che distruggerà quell’apparente pace campestre. Il film riecheggia, con sensibilità figurativa molto del grande cinema tedesco degli anni venti e trenta prima di Hitler.