“La partita delle ombre”, capitolo finale del libro “Il ladro di ombre”, di Veronica Cantero Burroni, vincitore del premio “Elsa Morante ragazzi 2016“, primo volume dell’autrice tradotto in italiano, edito in Italia dalle Edizioni di Pagina con l’introduzione di Massimo Borghesi. Vincente su “Il braccialetto”, di Lia Levi e “Il nome di Dio è misericordia”, scritto da Andrea Tornielli con Papa Francesco, e scelto dalla giuria tecnica, presieduta da Dacia Maraini e composta da Silvia Calandrelli, Francesco Cevasco, Enzo Colimoro, Roberto Faenza, David Morante, Paolo Ruffini, Emanuele Trevi, Maurizio Costanzo, Gianna Nannini, Tjuna Notarbartolo, e Teresa Triscari.
“Nei libri che ho scritto so di dare agli altri, a chi li leggerà, sempre qualcosa di me stessa. Ma i tanti dialoghi che ho avuto a Napoli con i ragazzi della giuria mi hanno arricchito tantissimo: vedere e sentire cosa li ha colpiti, cosa gli è piaciuto e perché, mi ha lasciato qualcosa di loro. Riparto più ricca di quando sono arrivata“. Queste le parole della giovane scrittrice, dopo la sua venuta a Napoli a fine maggio per il ritiro del premio. Un libro, una favola, straripante di fantasia, che procede di sorpresa in sorpresa sino al capitolo finale; “un mondo prodigioso dove le ombre creano vita, de-realizzano l’ordinario e lo trasfigurano” ha scritto nella prefazione il filosofo Massimo Borghesi. Una spy story immersa in un’atmosfera decisamente surreale, nella quale l’incrocio tra immaginazione e realtà è oggetto di continue sorprese; un lungo racconto che narra una vicenda che avviene all’interno di un gruppo di adolescenti, nel quale uno di loro ruba, per necessità, le ombre degli altri. E quando i suoi compagni lo scoprono, non scelgono di punirlo, ma decidono di aiutarlo sino a non aver più bisogno di rubare. Un piccolo libro luminoso, gioioso e generoso, con uno stile semplice, capace di far sentire realistico l’irreale.
L’autrice, una piccola grande donna: Veronica Cantero Burroni, nata a Campana, città argentina vicina a Buenos Aires, il 3 giugno 2002. Sesta di sette figli, che sin dalla nascita patisce di un danno neurologico che affetta la parte motoria, senza alcuna conseguenza sul piano intellettivo. Una infermità fisica evidente, che mai le ha tolto l’arguzia, il bel sorriso e l’ironia. La stessa che gioca un ruolo predominante nei suoi racconti. Un indubbio talento letterario, affinatosi nel tempo, a cui si aggiunge una immaginazione radiante, sempre incline all’aspetto positivo delle cose. Veronica prende ispirazione per il suo scrivere dall’ osservazione attenta della realtà, sino a catturarne storie segrete, e dal molto leggere, imparando dalle storie degli altri e dal loro modo di raccontarle. “Ciò che è miracoloso è la penna lieve dell’autrice, la sua capacità di amalgamare, senza salti stilistici, il fantastico con la vita quotidiana. Una dote rara, preziosa”, come sottolinea Massimo Borghese nella sua prefazione al libro.
La giovane scrittrice argentina, un dono fatto alla vita di chi l’avvicina, “dall’occhio di vetro assieme a quello di carne”, accettato grazie a Papa Francesco, per un filmato da lei stessa visto, in cui il Pontefice, citando uno scrittore latinoamericano, diceva: “che noi uomini abbiamo due occhi, uno di carne e uno di vetro. Con l’occhio di carne vediamo ciò che guardiamo. Con l’occhio di vetro vediamo ciò che sogniamo. Bello, vero? Nell’obiettività della vita deve entrare la capacità di sognare. E un giovane che non è capace di sognare è recintato in sé stesso, è chiuso in sé stesso”. Una immagine che ha tanto colpito Veronica, da farne dedica al Papa sul frontespizio del suo libro. “Caro Papa Francesco ti dedico questo libro per ringraziarti per tutto quello che mi hai insegnato! Mi hai insegnato a usare il mio occhio di vetro e il mio occhio di carne, perché questo è un sogno per me, un sogno che oggi vivo. Ringrazio Dio per questo e per tutto. Grazie. Veronica”.