A Napoli è antica consuetudine degustare una pizza à toute à l’heure. Ancora oggi, lungo le strade che conducono ad uffici ed aule universitarie accade di imbeccarsi nel primo mattino in una visione che fa pensare talvolta di non essersi ancora svegliati dal torpore del sonno: lavoratori o pensionati affondano con audacia i propri canini in un ripieno o una margherita piegata ad angolo, cercando di contenere il flusso di pomodoro e olio caldo che cola pericolosamente verso i pantaloni, a piccole gocce, accompagnando il desiderio per l’alimento più famoso al mondo con una classica birra fredda. Sophia Loren, la bella e procace venditrice di pizze assieme a suo marito nella celebre pellicola in bianco e nero "L’Oro di Napoli", è un affresco di questo lavoro in bobina. E’ un costume che risale ad epoche passate, nato per la strada e tramandato fino alla sua naturale prosecuzione che trova in Antonio il suo discepolo fedele: dal carrello alle quattro ruote. Antonio Religioso ha 61 anni e un viso sornione. Di professione vende le pizze e le graffe su un furgoncino, per chi si trovasse a passare da lui, ad Ercolano. Ha un sorriso per tutti ed accoglie i clienti sotto le tende, riparandosi dal sole e prepara nella sua pizzeria un pò speciale take away per clienti desiderosi di uno spuntino, o perchè no, di un pranzo fugace. Con la sua presenza mobile, unica nell’hinterland per il settore gastronomico trattato, porta avanti una tradizione scomparsa del tutto. E’ la naturale evoluzione di quei carretti del ’900 che invadevano vicoli e quartieri della Napoli di un tempo vendendo di tutto un pò. Ogni mattino trova parcheggio ad Ercolano, lungo la Via Caprile – Panoramica che collega il centro alla via Doglie. E’ qui che dopo un lungo girovagare, alla ricerca di permessi, ha trovato la sua sede definitiva. Basta avvicinarsi un pò per carpire l’odore della frittura, lo stesso che probabilmente tre generazioni fa chiamava a sè schiere di ragazzini dopo la scuola o mariti che interrompevano il lavoro attratti dalla pizza a portata di mano. Antonio eredita questo mestiere dalla nonna della moglie, Pascarella,che un giorno, essendo venuto a mancare il marito:<<iniziò a fare la capera e a cuocere le pizze fritte su un carrellino a ridosso del Vico di Mare agli inizi del ’900>>. La nonna, divenuta anziana, lasciò il suo lavoro alle figlie, tra le quali la futura moglie di Antonio. Il padre di Antonio con impasto e lievito non aveva nulla a che fare, difatti nel dopoguerra lavorava come "scarparo" ovvero riparava le scarpe. Arcangelo, cosi si chiamava, era anche un artista blasonato: amava suonare nei club e nei locali il sassofono con il Cavalier Sannino alla tromba e Giovanni ‘o barbiere alla fisarmonica. Antonio destina le sue giornate a questa attività da più di 25 anni, sebbene sorridendo ricordi che:<< ‘a guaglione nun vuleve faticà>>. Iniziò giovanissimo come aiutante di un fruttivendolo, poi iniziò a vendere le olive e come seconda mansione preparava l’impasto destinato al pane. Afferma di possedere la terza elementare e ciò che lo ha spinto al lavoro è stato da sempre la necessità di mangiare. La sua attività di pizzaiolo itinerante fu avviata grazie alla preziosa e collaudata assistenza della moglie, nonchè della suocera esperta. Ricorda ancora la sua prima vacanza frutto dei primi guadagni, mentre torna indietro con la memoria sgranando gli occhi. Lo stupore e la felicità di aver accumulato un gruzzoletto spinse Antonio, con moglie e tre figli ad una meritata vacanza in Sardegna. Il mentore dal quale ha compiuto il suo personalissimo e originale apprendistato fu Rafel o’ ricuttare, colui dal quale apprende da ragazzo la mescolanza di <<crisce e impaste>>. Oggi, dopo dieci anni trascorsi girovagando per la città, trova nella Via Caprile-Panoramica, la sua vendita al pubblico, lungo la strada che divide le antiche campagne rimaste intatte, nonostante l’avanzata del cemento, e che un tempo costituivano i frutteti e i boschi della Villa Ulisse e il pascolo per le caprette vesuviane di Don Francisco. Ogni mattino è lì, sempre in piedi, ad armeggiare con la pentola, l’olio e il pomodoro. Il giorno migliore?Non può che essere il venerdì mattina, giornata destinata al mercato dell’abbigliamento e casalinghi, occasione di visite da parte di madri con carrozzino o accompagnate da altri familiari quando i bimbi sono a scuola. Lo riconosci subito lungo la strada alberata, con il suo furgoncino attrezzatissimo:un ampio bancone accoglie le pentole per la frittura, una base per approntare l’impasto, ciotole su una mensola con gli ingredienti e un distributore d’acqua. In "vetrina" le graffe con lo zucchero o le pizze fritte ripiene. Anch’egli, come tanti altri, rappresenta l’ultimo testimone di una saga che affonda le sue radici nel passato remoto del culto delle pizze per strada, i fast food di un tempo andato. I suoi figli lavorano, due dei quali fuori Napoli. Non è difficile intuire il perchè abbia deciso di non trasmettere questo mestiere un pò fuori dal comune, atemporale e bizzarro. Antonio lo dice a chiare lettere di esser nato sulla strada, maestra di vita, la quale insegna che puoi sempre incontrare:<<’O buone e o’ malamente>>…Un tempo, quando vendeva le sue pizze alla via Dogana, strada commerciale che dal Corso Resina, nei pressi degli scavi archeologici conduceva al mercato rionale, c’era la fila se lo stomaco brontolava tra gli acquisti di Natale e le corse per gli ultimi regali. Oramai non pensa di cambiar vita alla sua età, nè di cambiar mestiere, anche perchè se si trasferisse o non avesse più la possibilità di condurre quest’attività, non saprebbe cosa fare. Giunta l’ora del pranzo, due amici storici che sostavano da un pò seduti sul muretto salutano Antonio, tra battute sui conti da saldare e l’amnesia sopraggiunta sul costo di una pizza. Pulisce il bancone e prima di tornare alla guida, sommessamente si congeda:<< guarda che tutto è buono per mangiare, ciò che conta è la dignità e l’onestà, sempre prima di ogni cosa>>.