Il sapore della ciliegia di Abbas Kiarostami, Iran, 1997.
Un uomo decide di darsi la morte e cerca qualcuno che possa aiutarlo. Due giovani, un soldato e un seminarista afgano si rifiutano di dargli una mano; un contadino, dapprima titubante, si lascia convincere, ma la vicenda resta in sospeso. Vicenda in se stessa semplice, linearmente raccontata, senza retorica, senza fronzoli. Può sembrare un film monotono ed infinitamente cupo, e in parte lo è. Ma nella sua essenzialità, nella sua estrema semplicità, rivela qualità incredibili, mediatndo sulla vita e sulla morte, dunque sull’uomo nella sua totalità, sul senso (o non senso?) del suicidio, sulla solitudine dell’uomo moderno. Un gran finale metacinematografico nel quale il regista lascia intendere la sua concezione del cinema, visto come finzione, ne fa poi un vero e proprio capolavoro, palma d’oro ex aequo a Cannes.