Gennaro è un meccanico, uno che vive del suo lavoro, o meglio tira a campare gestendo una piccola officina in uno dei tanti vicoli di Napoli. Uno di quei vicoli squallidi e principeschi al tempo stesso, in cui un raggio di sole fatica a penetrare tra le file di panni “spasi”, ma non manca mai la musica a riempire le giornate della povera gente. Uno di quei vicoli in cui ti senti un pezzente anche se sei pieno di soldi, ma puoi sentirti un re anche se hai le tasche bucate e le scarpe risuolate. Gennaro sogna, anzi fa dei sogni quando dorme. Paradossalmente, nonostante la sua fervida attività onirica notturna, il principale dramma di Gennaro sta proprio nell’aver smesso di sognare, ovvero di credere nei propri sogni. Lo sa bene il suo defunto nonno, principale protagonista delle notti di Gennaro. Sarà proprio lui a suggerirgli (in sogno, ovviamente) cinque numeri, che Gennaro in un primo momento crederà finalizzati ad una vincita al lotto, ma che poi scoprirà essere numeri vincenti nella vita più che nel gioco. Questo cortometraggio del giovane regista napoletano Antonio Manco (in arte, ha aggiunto Gonzales al proprio nome) non avvince tanto per la trama o per le interpretazioni degli attori (alcuni di loro non sono professionisti; il protagonista nella vita reale è un carrozziere), quanto per i “quadretti napoletani” che offre. Sono ritratti a tinte forti, vivide, intense. Fedeli all’essenza della città e dei suoi abitanti. O meglio, dei suoi figli. Figli che per vivere hanno disperato bisogno di sognare. Hanno bisogno di credere quotidianamente nel miracolo. E qui è d’obbligo citare il Don Vincenzo il Fenomeno (Totò) del film “Operazione San Gennaro”: <<noi a Napoli campiamo solo di miracoli>>. E che a farli sia San Gennaro o il nonno morto, cambia davvero poco. L’attesa del miracolo sembra essere stata instillata nel dna partenopeo.
Il sogno di Gennaro, quello del primo momento, fallace ed illusorio, giusto o sbagliato che sia, è probabilmente il sogno di molte generazioni di napoletani che rientrano ancora nella categoria, in vero sempre più indefinibile, dei giovani. Ragazzi più o meno cresciuti, frastornati e spaventati dalla crisi (ma in fondo, qual è ‘sta crisi che ci affligge e da quali crisi non siamo afflitti qui a Napoli?), perennemente alla ricerca del colpo della vita, quello che consenta una sistemazione economica per vivere felici. Salvo scoprire poi, come Gennaro, che la felicità va cercata in tutt’altra direzione.
P.S.
Da vespista incallito quale sono, non potrò mai perdonare al regista l’errore di aver confuso la Vespa con la Lambretta.
Avviso ai lettori.
Prossimamente, su Città del Monte, intervista esclusiva al regista Antonio Manco Gonzales.