Il suicidio della ragione
di Lee Harris
Noi occidentali siamo prigionieri del mito della modernità. Da un lato, esso ci impone di valutare una cultura dal benessere materiale che è in grado di produrre, mentre dall’altro ci rassicura sul fatto che le guerre all’ultimo sangue tra le civiltà appartengono al passato e che la fine della storia si è consumata con la vittoria delle democrazie liberali. Tuttavia questo mito è il prodotto della nostra pia illusione e, a partire dall’11 settembre, ci siamo trovati così lontani dalla fine della storia come non lo siamo mai stati. Infatti, per quale motivo coloro che non beneficiano dell’attuale status quo, rappresentato dalla Pax americana, dovrebbero accettarlo o tanto meno difenderlo? Ma noi vogliamo semplicemente essere lasciati in pace per godere edonisticamente i frutti del nostro progresso e siamo riluttanti ad ammettere l’esistenza di forze violente che provano un profondo risentimento verso i nostri valori. È stata così messa in atto una negazione collettiva, il suicidio della ragione, che ci ha impedito di confrontarci in modo diretto con la nostra vulnerabilità. Mentre noi educhiamo i nostri figli ad avere disprezzo per le tradizioni che hanno fondato le culture della ragione occidentali, altri educano i propri a essere pronti a morire per mantenere vive le loro. Nel lungo periodo, quali tradizioni vinceranno? Nel lungo periodo, quali figli domineranno la terra? nemici (2008).
Lee Harris è entrato, appena quattordicenne, alla Emory University di Atlanta, dove si è laureato con summa cum laude. Dopo anni dedicati a diversi interessi, ha iniziato a scrivere saggi filosofici che hanno catturato l’immaginazione dei lettori in tutto il mondo. Grazie a tre degli articoli più letti e controversi nella storia di «Policy Review», Harris è emerso come uno degli scrittori più discussi del recente passato. Vive a Stone Mountain, in Georgia. Con i tipi di Rubbettino ha già pubblicato La civiltà e i suoi