“Posteri, posteri, si tratta del vostro interesse. L’oggi illumina il domani con i suoi ammaestramenti. Ascoltate. Venti volte da che splende il sole, se non sbaglia la storia, il Vesuvio bruciò, sempre con immane sterminio di chi fu lento a scappare. Affinchè non vi trovi più incerti, vi ammonisco: questo monte ha il ventre pieno di bitume, allume, zolfo, ferro, oro, argento, salnitro e sorgenti d’acqua. Presto o tardi si accende ed erutta; ma prima geme, trema, scuote il suolo, fuma, s’arrossa, avvampa, sconvolge orrendamente l’aria, emette boati e lampi, scaccia ai confini gli abitanti. Tu allontanati finchè sei in tempo. Ecco, già scoppia e vomita un fiume di fuoco che avanza precipitando e sbarra la fuga a chi si attarda. Se ti raggiunge è finita, sei morto. Se è disprezzato punisce gli incauti e gli avari che hanno più cara la casa e i propri beni della vita. Ma tu, se hai senno, ascolta la voce di questo marmo che ti parla: non preoccuparti del focolare, non preoccuparti dei tuoi beni e senza indugi fuggi!” Questa disperata esortazione a fuggire (evacuare diremmo oggi) è una traduzione dal latino all’italiano di un epitaffio, datato 1632, inciso in una lapide che è stata trovata a Portici, precisamente in via Gianturco.Nel seicento, dunque, si pensava di sconfiggere il nemico Vesuvio scappando e sembra quasi che, a distanza di secoli, la protezione civile o chi per essa, non sappia dare consigli migliori riguardo il modo di salvarsi da una possibile eruzione.Le forze della natura, dunque, erano e continuano ad essere incontrollabili per gli uomini, a dimostrazione di come, contro le calamità naturali, non ci sia tecnologia che tenga.