Le rivolte che hanno coinvolto numerosi paesi dell’Africa del Nord hanno spinto i mezzi di comunicazione e l’opinione pubblica in generale a riflettere sull’ondata di migranti che si riversa ogni giorno sulle nostre coste come conseguenza di tali cambiamenti politici. Essendo il paese più prossimo nelle rotte percorse dai profughi, l’Italia segue con grande attenzione il rapido svolgersi degli eventi, prestando anche attenzione ai problemi più pratici causati da tale situazione, quali l’accoglienza dei migranti e la concessione di permessi di soggiorno che consentano loro la libera circolazione all’interno della Comunità europea.
Eppure quello dell’immigrazione non è certo un fenomeno sconosciuto al vecchio continente e, tralasciando per qualche istante l’attuale emergenza umanitaria costellata da episodi tragici che si verificano davanti ai nostri sguardi spesso impotenti, ho pensato di andare a parlare con chi immigrato nel nostro paese lo è già da qualche tempo.
Ho scelto storie di giovani integrati soprattutto grazie all’incontro con persone che non si sono limitate a compatire la condizione del profugo raccontata tra una notizia di sport ed il meteo, ma che hanno messo in gioco se stessi e tutte le risorse a loro disposizione per creare situazioni di aggregazione ed integrazione.
Nel caso specifico mi riferisco alla realtà partenopea di United Colours of Futsal, una iniziativa di solidarietà sostenuta dalla fondazione privata del gruppo Unicredit, UniCredit Foundation, che sotto forma di associazione sportiva senza scopi di lucro si pone l’obiettivo di agevolare l’integrazione di ragazzi provenienti da contesti ambientali “difficili”e di giovani extracomunitari, nonché delle relative comunità di riferimento, anche attraverso progetti sociali quali corsi base di italiano, di informatica e di orientamento legislativo.
La squadra partecipa al campionato federale di serie D di calcio a cinque, è composta da ragazzi italiani e da sei ragazzi extracomunitari di cui due intervistati da noi, Momo Dioum e Mamadou Cello Diallo.
Prima di realizzare le interviste, il medico peruviano della squadra mi ha messa in guardia rispetto alle difficoltà di riuscire ad inquadrare in modo oggettivo la realtà di questi ragazzi, invitandomi a percorrere l’unica strada che permetta di riuscire in questo: il confronto.
Ho riflettuto a lungo su queste parole, perché il pericolo di sbagliare e di inciampare nella retorica è sempre in agguato ed anche Mamadou risultava scettico all’inizio. Tuttavia mi ha raccontato di essere arrivato a Salerno nel 2008 con un barcone direttamente dal suo paese, la Guinea ex francese con capitale Conakry. Appena sbarcato, incontra un ragazzo del Senegal che lo ospita a casa sua per due giorni, trascorsi i quali si reca all’Ufficio Immigrazione per fare richiesta di asilo politico, ma la sua causa è tuttora in tribunale; la prima volta infatti il permesso gli viene negato e Mamadou è costretto a fare ricorso. Oggi ne ha uno provvisorio, fino a dicembre. Tale situazione gli impedisce di trovare un impiego regolare.
Mi dice che ci sono numerosi valori che condivide con gli italiani. <<Qui, ho incontrato delle brave persone, che capiscono la gente>> racconta sorridendo ad Alessandro D’Errico, uno dei dirigenti della squadra che si sta battendo per regolarizzare Mamadou.
Il giovane guineano mi espone la sua opinione circa l’importanza di concedere i permessi di soggiorno agli extracomunitari che arrivano in Italia e in Europa. Regolarizzandoli infatti gli si offre la possibilità di visitare tanti paesi e di trovare lavoro in uno di essi: questo è fondamentale per un immigrato.
Momo Dioum è in Italia da poco più di un anno ma come Mamadou si esprime molto bene in italiano, grazie al corso organizzato dall’associazione. E’ meno schivo e con un sorriso aperto mi spiega di essersi laureato in Managment nel suo paese e di parlare quattro lingue, tra cui il tedesco.
Appena arrivato in Italia, per un provino di calcio nel Gaeta non andato a buon fine, la sua fortuna è stata quella di incontrare la squadra del United Colours of Futsal che lo ha aiutato ad ambientarsi e a trovare lavoro, sollevandolo dalla condizione di venditore ambulante.
<<Noi extracomunitari vogliamo rimanere solo in Italia; qui mi sento felice, integrato, non ho mai avuto problemi. Non faccio nulla di male. E’ un paese ospitale, d’integrazione e di ottimismo. Sono qui da un anno e sei mesi e sono felice. L’Europa è il continente che ha il miglior governo del mondo, ricco non solo sotto il punto di vista finanziario ma anche sportivo, culturale>> mi dice in francese per potersi esprimere al meglio ed evitare fraintendimenti.
Gli domando cosa si augura per il futuro una volta ottenuto il permesso di soggiorno regolare e lui mi risponde con il suo largo sorriso: <<Mi auguro di continuare ad essere felice; gioco a calcio ed i componenti della squadra mi hanno insegnato a stare bene e a parlare un po’ meglio in italiano; mi hanno anche trovato un lavoro. Cosa posso chiedere di più?>>.
Questi ragazzi con le loro parole e l’ammonimento del medico peruviano ci hanno portato alla conclusione che l’integrazione non è soltanto accoglienza, è confronto e dialogo in tutti i modi e in tutte le lingue possibili. Il suo nemico peggiore è l’indifferenza verso la storia, la cultura della persona che abbiamo davanti. Indifferenza che genera ferite più profonde dello stesso razzismo.