“LA CUSTODE DI MIA SORELLA” di NICK CASSAVETES; USA, 09.
Kate è ammalata di leucemia. Per avere midollo spinale e rene sicuramente compatibili, l’indomita madre programma un’altra figlia in provetta, Anne, che, però, va da un avvocato per negare ai genitori la possibilità di “usare” il suo corpo. Tratto da un romanzo, a sua volta modellato su una storia vera, il film è una perfetta, inesorabile macchina strappalacrime. Sicuramente con l’ausilio del testo di partenza, la sceneggiatura fa scattare con puntualità perfetta il pianto per la drammaticità delle situazioni di scena. Perciò ha fatto storcere il naso a molta critica. Tuttavia, il film, in quello che è il suo fine narrativo, è coerente e riuscito. Inoltre, esso, all’interno di un drammone familiar-ospedaliero, agita il dibattito su alcuni temi di grande attualità civile: sull’”uso” del proprio corpo contro l’accanimento sia terapeutico che affettivo, cioè dettato dalla volontà ferrea della madre, sicuramente desiderosa di lottare fino allo spasimo per la salvezza. E lo fa con l’asciuttezza propositiva della migliore tradizione di Hollywood, ponendo tutte le implicazioni possibili. La complessità e le sfaccettature del film, tranne qualche lieve cedimento, sono molto egregiamente personificate nella ricchezza dell’interpretazione di Cameron Diaz.