«Sulla barca in tempesta. La fede ci interroga»: la fede ai tempi del coronavirus. Ha preso il via, il 15 maggio scorso, alle ore 19.15, il programma televisivo È scesa la sera? La fede si interroga nella tempesta dell’epidemia, in onda sull’emittente nazionale Padre Pio Tv (canale 145 del digitale terrestre; 445 di TvSat; 852 di Sky; visibile anche scaricando l’app “Padre Pio Tv” per gli smartphone, sia iOS che Android, e in streaming internet sul sito www.teleradiopadrepio.it), ideato e curato da Michele Giustiniano e Carmine Matarazzo, prodotto dalla sezione San Tommaso d’Aquino della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale. Un luogo virtuale di incontro e riflessione, in cui ascoltare la fede che interroga l’intelletto in questo tempo della tempesta. Una tempesta che riguarda tutti e rappresenta il dramma di tutti, dove la teologia e gli esseri umani si pongono grandi interrogativi nel cuore, che neanche, forse, riescono ad esprimere. Protagonisti della prima puntata, oltre agli autori, il vescovo di Teggiano-Policastro Antonio De Luca, il decano della sezione San Tommaso Francesco Asti e la moderatora della Tavola Valdese Alessandra Trotta.
La tempesta e gli invisibili – Il mondo è chiamato a dare un significato a questo tempo così difficile riscoprendo nuovi spazi per la solidarietà, dando nuova forma a progetti, abitudini e priorità. Si è vissuto, d’improvviso, il tempo della tempesta, che ha posto allo scoperto tutti i propositi e ha portato a ciò che, sino a prima, aveva nutrito l’anima dei nostri popoli. Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui si mascheravano i propri ego, sempre preoccupati della propria immagine, ed è rimasta scoperta, ancora una volta, l’appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: quella all’umanità. Ed è stato anche il tempo in cui si è rivolta attenzione all’esercito degli invisibili della pandemia, persone estromesse dalle misure di sostegno statali perché senza permesso di soggiorno o in gravi condizioni di marginalità. Il professore Carmine Matarazzo, nella riflessione introduttiva, ha posto al centro un interrogativo: «Come può la globalizzazione dell’indifferenza rendere ancora più indifferenti al dramma quelle persone che anche in queste situazioni il dramma rappresenta un problema?». Uno degli aspetti fondamentali nella trasformazione radicale delle nostre esistenze al tempo della pandemia da Covid 19 è stata la questione abitativa in tutte le sue articolazioni. Il rimanere a casa, quale efficace e antico strumento di distanziamento fisico e sociale per contenere il contagio, ha messo in luce l’abitare e la domesticità quali variabili sociologiche da analizzare. Infatti, l’abitazione nella sua qualità dei servizi, nei suoi spazi adeguati ai bisogni, nella sua possibilità di essere un luogo in cui ripensare le relazioni familiari e il tempo sospeso della socialità in generale, ha rappresentato un criterio decisivo, su cui si è riflettuto per comprendere le disuguaglianze che attraversano il nostro Paese. L’attuale emergenza sanitaria ha enfatizzato le già esistenti differenze sociali che si esprimono mediante la tipologia abitativa in cui si risiede. In particolare, se si volge lo sguardo sul mondo migrante che abita le nostre città, la situazione appare indubbiamente critica per molti aspetti. Una criticità che si associa a quelle vissute dagli stessi cittadini italiani, a loro volta trovatisi in una condizione di vulnerabilità. «La sfida di questa tempesta – come ha sottolineato il vescovo di Teggiano-Policastro Antonio De Luca – è di imparare a riconoscere i bisogni degli altri e questo sia il momento di una conversione ideologica, culturale ed istituzionale. I primi sono gli ultimi, a prescindere dalla nazione e la pandemia del Coronavirus rappresenta l’occasione unica per il ripensamento globale alla Chiesa e alla società, in cui tutti i problemi non debbano essere ritenuti scomparsi, ma interconnessi».
La voce silenziosa di Dio – Riflessioni, considerazioni e propositi si avvicendano nella tavola rotonda virtuale televisiva, magistralmente diretta dal professore Michele Giustiniano che, chiamando in causa Alessandra Trotta, ha posto l’attenzione sulla presenza della voce di Dio, capace di sovrastare il silenzio assordante e il vuoto desolante sottolineato da Papa Francesco nella sua preghiera nella piazza san Pietro. È vero, può sembrare che quando arriva una grande prova, il Signore non si fa vedere, non si fa sentire, dorme, ed Egli, che dovrebbe essere la risposta al problema, diventa un problema supplementare. Ma è proprio in quel frangente che il credente deve rimanere fedele al suo Dio che non parla, deve ascoltare una Parola che non risuona più. «Nella barca in tempesta Gesù è presente, anche quando ci sembra di non sentirne la voce. Viviamo un tempo di crisi, in cui il cristiano si interroga su cosa Dio ci sta dicendo, in una esigenza di spiritualità anche da parte di persone che mai l’avevano provata prima. Dio consola dicendo che è qui, che regge il mondo. Dio è trovato nella parola, che non è solo di consolazione ma anche di interrogazione. Nella parola condivisa con gli altri, Egli continua a parlare».
Tempo di pandemia, tempo di tempesta, tempo di sfida, in cui il cristiano è chiamato ad una convergenza sull’umano, sull’ambiente, sugli ultimi, sull’economia. «Se non recuperiamo l’autenticità che tutto è connesso, che ci spinge a un dialogo interreligioso, multirazziale – ha concluso sua eccellenza Antonio De Luca - avremo banalizzato questa triste esperienza. La grande famiglia umana ha bisogno di una etica globale, in cui tutti possano rivendicare diritti e rispetto. Se questo non verrà raggiunto, possiamo ritenerci falliti».